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Le avventure di Mia

Capitolo 8

Quella sera l’aria era elettrica. Il cielo, fin dal tardo pomeriggio, aveva cominciato a tingersi di grigio pesante, e il vento portava con sé odore di terra bagnata e foglie spezzate.

Mia era tornata a casa prima del solito. Si era sistemata sulla poltrona vicino alla finestra, accucciata in una delle sue pose preferite: una zampa sotto la testa e la coda avvolta attorno al corpo. Guardava le nuvole muoversi, il vento scuotere i rami, i primi lampi lontani fendere il cielo come graffi di luce.

Quando il temporale scoppiò davvero, fu fragoroso. Tuoni profondi, pioggia fitta, raffiche improvvise che facevano tremare i vetri. Anche lei, che amava l’avventura, sentì un piccolo brivido di timore. Ma poi, tra un tuono e l’altro, sentì qualcosa di diverso.

Un miagolio sottile. Quasi coperto dal rumore della pioggia.

Mia drizzò le orecchie.

Non era immaginazione. Qualcuno là fuori stava chiamando aiuto.

Saltò giù dalla poltrona, raggiunse la porticina che dava sul giardino e la spinse con la zampa. L’aria fredda le sferzò il muso, ma uscì comunque.

Il giardino era buio e fradicio. I rami sbattevano come braccia agitate, e l’erba era lucida d’acqua. Ma il miagolio si ripeté, più vicino.

— Ehi! — sibilò una voce sopra di lei.

Era Robin, fradicio ma ostinato, appollaiato su un ramo piegato dal vento.
— Ho visto qualcosa muoversi dietro il bidone! Un piccolo, credo!

— Andiamo! — gridò Mia.

Fu allora che comparve anche Tobia, che emerse da dietro la siepe come una presenza silenziosa.

— Vi seguo. Questa notte non è da affrontare da soli.

Insieme si avvicinarono al bidone dell’organico, vicino al marciapiede. E lì, tremante, zuppo dalla testa alla coda, con gli occhi spalancati per la paura, c’era un gattino bianco e arancio, minuscolo.

— Non trovo la mia mamma… — miagolò. — Ho corso via quando ha iniziato il temporale… adesso… adesso non so dove sono.

— Vieni con noi, piccoletto, — disse Tobia, mentre Robin gli faceva da scudo con le ali aperte.

Mia lo guardò con dolcezza. Il gattino tremava, e faceva i versi spezzati di chi ha freddo e paura insieme.

— Non possiamo lasciarlo qui, — disse. — Lo porterò da Sofia. Lei saprà cosa fare.

— Sei sicura? — chiese Ombra. — E se la tua umana non lo volesse?

Mia abbassò le orecchie per un istante. Ma poi le sollevò decisa.

— Sofia ama i gatti. E ha un cuore grande. Lo capirà.

Il ritorno fu lento e difficile. Il vento faceva ondeggiare i cespugli, e le pozzanghere sembravano laghetti. Ma passo dopo passo, con Mia a guidare e Tobia dietro a coprire le spalle, il gruppo tornò nel giardino.

Mia spinse la porticina e fece cenno al gattino di seguirla.

Lui esitò, ma quando vide la luce calda della cucina e il profumo buono del legno e della pappa, fece un salto e fu dentro.

Sofia era lì, seduta al tavolo con una tazza in mano. Appena vide il gattino bagnato, si alzò di scatto.

— Ma cosa…? Oh, tesoro! Ma dove ti sei perso?

Prese un asciugamano, lo avvolse con delicatezza e cominciò ad asciugarlo. Il gattino fece le fusa così forte che sembrava un piccolo trattore.

Mia li osservò da sotto il tavolo, col cuore che le batteva più piano.

Sofia alzò lo sguardo e le sorrise.

— Brava, Mia. Molto brava.

Quella notte, il temporale proseguì a lungo. Ma dentro casa c’era solo pace. Mia si acciambellò accanto al nuovo arrivato, ormai addormentato sul cuscino grande, e chiuse gli occhi anche lei.

Fuori, i tuoni sembravano già più lontani.
E da qualche parte, nel buio, il Corvo Nero volava in silenzio, come a proteggere tutto da lassù.

Il mattino dopo, il mondo sembrava un altro.

Il cielo era limpido e azzurro, il sole faceva brillare le gocce di pioggia rimaste sulle foglie, e tutto il quartiere profumava di terra bagnata e di nuova quiete. I rami spezzati erano ancora per terra e qualche pozzanghera rifletteva le nuvole, ma nell’aria c’era pace.

Mia si svegliò di buon’ora, stiracchiandosi accanto al gattino, che ancora dormiva profondamente sul morbido cuscino accanto alla stufa. Sofia gli aveva lasciato una piccola ciotola con del cibo tiepido e un giochino di peluche, e lui sembrava aver già dimenticato la paura della notte.

Quando aprì gli occhi, vide Mia seduta lì vicino, con Tobia che la aspettava in giardino e Robin che svolazzava sopra la ringhiera del balcone.

— Oggi troviamo la tua mamma, — gli disse Mia con dolcezza.

Il gattino annuì.
— L’ho persa vicino al grande albero con i funghi, vicino al cortile della casa rossa…

 

Insieme a Tobia, Robin e il gattino, Mia attraversò il giardino, passò dal varco nella siepe e si incamminò per il viale ancora umido di rugiada in cerca di Ombra. Lui avrebbe saputo come aiutarli.

Infatti riconobbe il posto.
Era il retro della bottega del fioraio, dove spesso passavano gatti randagi e mici di cortile.

Quando, guidati da Ombra, arrivarono al grande albero con i funghi, Robin fece un ampio giro in volo, poi gridò:

— Là! Dietro il bidone blu!

Una micia dal manto arancione e bianco, con gli occhi color miele, stava camminando avanti e indietro in cerca di qualcosa. Quando vide il gattino, si fermò di colpo.

— Zucchero! — miagolò, e in un attimo corse verso di lui.

Il gattino si lanciò tra le sue zampe, e si strofinò contro la mamma facendo le fusa così forti che perfino Tobia sorrise.

— Mi ero tanto preoccupata… — sospirò la micia, stringendolo a sé.

Mia si avvicinò.

— Lo abbiamo trovato ieri sera, mentre il temporale infuriava. Era tutto bagnato e tremante. L’ho portato dalla mia umana, al caldo.

La mamma annuì, commossa.
— Grazie. Grazie davvero. Non tutti lo avrebbero fatto. E tu sei ancora così giovane…

— Ma ha già cuore da grande, — grugnì Tobia con tono affettuoso.

Zucchero si voltò e le fece un piccolo inchino con la testa.

— Quando vorrete venire a trovarci, saremo dietro il giardino del fioraio.

Mentre si allontanavano, Robin volò sopra Mia e Tobia.

— Direi che possiamo aggiungere “salvatrici di gattini” alla lista delle imprese, no?

— E “accompagnatori ufficiali di ritorni a casa”, — aggiunse Tobia, scrollandosi l’acqua rimasta sul pelo.

Mia camminava con passo leggero. Era stanca, ma felice.

Aveva imparato un’altra cosa, quella notte: non importa quanto si è piccoli… quando si è nel posto giusto, si può fare la differenza.

E con quella consapevolezza, saltò su un muretto assolato e si mise a osservare il mondo. In silenzio. In ascolto.

Sempre pronta.