
storie, racconti e altro
La marea del silenzio
Capitolo 14
«Questo simbolo... lo hai già visto da qualche parte?» chiese Matteo, indicando un piccolo cerchio tracciato accanto a diversi nomi nel registro. Era ripetuto con regolarità, sempre vicino a ospiti scomparsi o trasferiti senza documentazione completa.
Elisa strinse le labbra. «Sì. In alcuni dei fascicoli sequestrati da Maltoni e da altri. Compariva anche su una delle lettere anonime che ci arrivarono in commissariato. Quelle che pensavamo parte di una campagna di disinformazione.»
Un silenzio carico di tensione calò nella stanza. L’aria era densa di polvere e sospetti.
«Vuoi dire che ci sono segni disseminati ovunque, e noi li abbiamo ignorati?» mormorò Matteo.
Elisa non rispose. Stava leggendo un appunto manoscritto incastrato tra due cartelle, apparentemente dimenticato. La calligrafia era elegante, quasi teatrale. In alto, un nome: Lucia Maltoni.
«È suo, questo?» chiese a Teresa, che li aveva seguiti con discrezione.
La donna esitò, poi annuì. «Lucia, negli ultimi mesi prima che sparisse, passava ore a scrivere. Diceva che doveva mettere ordine nei pensieri.»
L’appunto riportava frasi brevi, frammentarie, come pezzi di un discorso interrotto:
"Non tutti quelli che abbiamo aiutato sono salvi. Alcuni non hanno più fatto ritorno. Francesco diceva che certe cose vanno coperte, per il bene di tutti. Ma io... io non posso tacere ancora."
Il nome Francesco era cerchiato, e sotto, una nota: “Il conto cifrato è ancora attivo. Ma se lo scoprono, ci elimineranno tutti.”
Matteo si voltò verso Elisa, con un’espressione di sconcerto. «Sta parlando di suo fratello. Di Francesco Maltoni. Forse lei ha cercato di fermarlo.»
«O forse ha tentato di proteggerlo, finché ha potuto», mormorò Elisa.
Teresa si mosse a disagio. «C'è un uomo che veniva a trovarla spesso. Mai lo stesso giorno, mai alla stessa ora. Non mi ha mai dato il suo nome. Portava dei fogli, dei pacchi, usciva sempre senza dire una parola.»
«Vi ricordate com’era fatto?» chiese Matteo.
«Alto, magro, elegante. Camminava come se avesse il tempo sotto controllo. Una volta ho visto un distintivo spuntare dal taschino, ma troppo in fretta per leggere qualcosa.»
Elisa strinse il pugno. «Potrebbe essere un poliziotto. O qualcuno che si fingeva tale.»
Uscirono dall’archivio con una strana sensazione addosso: come se ogni passo li portasse più vicini a qualcosa che non volevano davvero vedere. Matteo guardò il cielo plumbeo dalla finestra. «Cosa facciamo adesso?»
Elisa era già al telefono, continuò a ignorare il messaggio di Riva. «Chiedo un accesso immediato ai tabulati della clinica La Selva. Voglio sapere chi ha fatto visita a Lucia Maltoni, e quando.»
Poi si voltò verso di lui, seria. «E tu?»
Matteo rispose senza esitazione. «Torno in commissariato. Voglio controllare di nuovo la lettera anonima con quel simbolo. E ho una mezza idea su chi potrebbe avercela mandata.»
Elisa annuì. «Che idea?»
«Forse… qualcuno che cercava di farci capire la verità senza esporsi. Qualcuno che ha paura. Ma che ha deciso di parlare lo stesso.»
Matteo tornò in commissariato con il viso tirato e la mente in fiamme. Non era la stanchezza: era la sensazione che tutti i pezzi stessero per incastrarsi, e che proprio in quel momento qualcuno potesse cercare di rimescolare tutto.
Si fece aprire l’ufficio archivi digitali. Una delle lettere anonime arrivate — quelle che avevano archiviato come “piste speculative” — lo tormentava. Aveva un simbolo tracciato a penna, lo stesso cerchietto che ora compariva accanto ai nomi degli ospiti scomparsi nella casa di riposo.
Con il file davanti, Matteo ingrandì il simbolo. Non era solo un cerchio. Al suo interno, quasi invisibile, c’era una croce inclinata. La stessa che avevano visto incisa sulla cornice della vecchia foto trovata nel fascicolo di Lucia Maltoni.
«Come se fosse una firma» mormorò tra sé.
Chiamò Elisa. Lei rispose al secondo squillo.
«Ho trovato qualcosa. Quelle lettere non erano affatto casuali. Il simbolo è lo stesso, identico. Qualcuno voleva davvero farci arrivare a Lucia. E alla rete.»
«Buono. Io ho appena ricevuto i tabulati della Selva» disse Elisa, con voce tesa. «Sai chi ha visitato Lucia Maltoni almeno tre volte negli ultimi due mesi? Alessandro Greco.»
«L’imprenditore?»
«Proprio lui. Ufficialmente veniva per finanziare un progetto terapeutico, ma non è mai stato attivato. E non ci sono mai stati fondi confermati dal ministero.»
Matteo si alzò in piedi. «Greco è intoccabile. Ha amicizie in comune, e legami con la curia e il consiglio comunale. Ma se è coinvolto, vuol dire che la rete è ancora attiva. E potente.»
Un colpo secco alla porta lo interruppe. Era Quadri. L’ispettore lo fissò per qualche secondo, poi lasciò cadere sulla scrivania una busta marrone, sgualcita.
«Questa è arrivata stamattina, senza mittente. È per te.»
Dentro c’era una chiave, una fotografia in bianco e nero strappata a metà — ritraeva un gruppo di uomini davanti a un edificio — e un biglietto con tre parole: “Magazzino sette. Porto.”
Matteo si voltò verso Quadri. «Chi l’ha trovata?»
«Era nella mia cassetta della posta. Non è passata per i canali ufficiali.»
Matteo lo scrutò con attenzione. Aveva ancora dei dubbi sull’ispettore. Quella foto... avrebbe potuto benissimo essere stata una trappola. Ma non c’era tempo da perdere.
Richiamò Elisa. «Abbiamo un altro appuntamento. Porto, magazzino sette. Stasera.»
«Non andare da solo» rispose lei, senza esitare. «Ti raggiungo lì.»
Quando chiuse la telefonata, Matteo guardò di nuovo la fotografia. Uno degli uomini sembrava Giovanni Marini, l’imprenditore coinvolto nelle indagini di evasione. Ma accanto a lui... c’era qualcuno che non si aspettava di vedere.
Quadri stava ancora sulla soglia. «Hai riconosciuto qualcuno?»
Matteo non rispose subito. Poi annuì lentamente. «Forse sì.»
Il magazzino sette era un edificio basso, lungo e annerito dalla salsedine, adagiato sul molo vecchio del porto industriale di Monteriva. Era in disuso da anni: la scritta arrugginita sul tetto ondeggiava nel vento come una minaccia dimenticata.
Elisa arrivò poco dopo Matteo, i fari dell’auto tagliarono l’oscurità. Lui la stava aspettando al riparo di un container, con il colletto alzato e gli occhi attenti.
«Nessuna pattuglia in zona. L’intera area è fuori dai radar» sussurrò. «Siamo soli.»
Elisa annuì e gli mostrò la chiave. «Apriamo. Ma con cautela.»
La serratura del magazzino scattò al secondo tentativo. All’interno, l’aria era pesante di polvere e ruggine. L’unica luce proveniva da una piccola apertura sul tetto, da cui filtrava la luna.
Avanzarono tra vecchie casse e scaffali scheletrici, in silenzio. Poi, quasi in fondo, Matteo si fermò.
«Qui» disse, indicando una zona delimitata da un paravento arrugginito.
Dietro, trovarono un vecchio armadio metallico. Chiusa con una semplice serratura a combinazione. Ma accanto, sul pavimento, era stato lasciato un taccuino rilegato in cuoio. Nessuna scritta all’esterno.
Lo aprirono.
All’interno, fotografie in bianco e nero: volti, firme, atti notarili fotocopiati, nomi già visti e altri del tutto nuovi. In alcune immagini, gli stessi simboli tracciati sulle lettere. In un foglio piegato a metà, un nome spiccava tra gli altri: Francesco Maltoni, accanto a una voce contabile: "Fondi trasferiti – Restauro chiesa Monteriva – Autorizzazione firmata da A.G."
«A.G.» Elisa lo pronunciò a mezza voce. «Alessandro Greco. È tutto collegato.»
Matteo stava fissando una pagina in fondo al taccuino. C’era una lista di nomi, molti dei quali con una croce rossa accanto. Alla fine, uno senza segni: Davide Salvi.
«Il ragazzo della spiaggia...» mormorò. «Era sulla lista. Ma non barrato. Forse è vivo.»
Un rumore improvviso li fece voltare. Una porta secondaria del magazzino si era appena richiusa.
Matteo fece cenno a Elisa e si mossero silenziosi verso l’uscita. Ma fuori non c’era nessuno. Solo una sigaretta ancora accesa sul parapetto.
«Qualcuno ci teneva d’occhio» disse Elisa. «E non voleva farsi vedere.»
Matteo guardò il mare. L’acqua nera e oleosa rifletteva appena la luce dei lampioni distanti. «Oppure voleva che trovassimo tutto questo.»
Rientrarono nel magazzino e presero con sé il taccuino, chiudendo tutto con cura. Non era ancora il momento di consegnare quel materiale: dovevano prima capire fino a dove si estendeva la rete.
Mentre tornavano verso l’auto, Elisa lanciò un’occhiata a Matteo. «Ti sei accorto che nelle foto c’erano anche due uomini della polizia municipale?»
«Sì» rispose lui, guardando dritto davanti a sé. «E anche un uomo della curia.»
Si fermarono. Da quel momento non avrebbero più potuto fidarsi di nessuno.