
storie, racconti e altro
La marea del silenzio
Capitolo 13
Il ritorno alla centrale fu silenzioso. Matteo guidava con lo sguardo fisso sulla strada, ma era evidente che la mente correva altrove. Elisa, seduta accanto a lui, teneva tra le mani il materiale raccolto nella casa di riposo. L'avevano letto solo in parte. Bastava quello che avevano visto per stravolgere tutto.
«Questa rete non si limita a sparizioni e ricatti,» disse Elisa, finalmente. «C'è un meccanismo complesso dietro. Passaggi di proprietà, donazioni, trasferimenti. E tutto ruota attorno a Monteriva.»
«E alla chiesa,» aggiunse Matteo. «Non solo come simbolo, ma come centro operativo. I parroci non sono tutti coinvolti, ma qualcuno sapeva. Qualcuno ha coperto. Troppi documenti firmati da persone legate direttamente alla diocesi.»
Una volta nel suo ufficio, Elisa sistemò le carte sul tavolo. Tra i fogli c'erano fotocopie di assegni, lettere intimidatorie, ma anche liste di nomi. Alcuni barrati, altri evidenziati in rosso. Persone. Alcune scomparse, altre ancora presenti nei registri anagrafici. Elisa riconobbe un nome in particolare.
«Sofia.» Sottolineò la riga con l'indice. «Compare qui, sotto la voce ‘in attesa di trasferimento’. E accanto, una data: il giorno prima della sua sparizione.»
Matteo si avvicinò. «E guarda questo: Edoardo Vernazza. Annotazioni a margine, quasi come se stesse seguendo la stessa pista. Forse non ha solo scoperto qualcosa: stava per renderlo pubblico.»
«E lo hanno fatto tacere,» mormorò Elisa.
Squillò il telefono. Elisa rispose, riconoscendo la voce stanca ma ferma di Giulio Riva.
«Ho trovato una cosa che dovete vedere,» disse. «Vecchie lettere di Anna. Non le ho mai aperte. Ma dopo quello che mi hai detto… ho pensato fosse il momento.»
«Lettere?»
«Scritte poco prima della sparizione. Una è indirizzata a me, ma le altre… sembrano raccontare qualcosa. Vi aspetto.»
Quando Elisa e Matteo arrivarono a casa Riva, trovarono Giulio seduto al tavolo del soggiorno. Davanti a lui, una piccola scatola di latta. Aprì il coperchio con mani tremanti.
«Le ho tenute per anni. Speravo solo che tornasse. Non volevo leggerle, mi sembrava di tradirla. Ma adesso…»
Elisa prese la prima busta. Anna aveva una calligrafia ordinata, precisa. La aprì con cura e iniziò a leggere ad alta voce:
“Se succede qualcosa, papà, non credere che sia un caso. Sto cercando di capire cosa lega il vecchio ospizio, il parroco Luciano e quegli uomini che ho visto entrare nella chiesa di notte. Non fidarti di nessuno. Nemmeno delle autorità. Hanno troppa paura o sono dentro fino al collo.”
Si fece silenzio.
«È tutto vero,» sussurrò Giulio. «Tutto quello che sospettavamo. E Anna ci era arrivata molto prima di noi.»
Matteo si passò una mano sul volto. «Ci manca ancora il legame. Chi tiene le fila, chi comanda. Ma adesso abbiamo le prove che non è solo un culto. È un’organizzazione criminale. Estorsione, traffico di esseri umani, riciclaggio. E Monteriva è il loro cuore nero.»
Elisa si alzò. Andò alla finestra e guardò il paese immerso nell’oscurità.
«È ora di fare un passo avanti. Ma dobbiamo stare attenti. Chi ci ha preceduto è morto. Anna è sparita. Sofia anche. E adesso sanno che li stiamo guardando.»
Il sole del primo pomeriggio filtrava attraverso le tende della sala d’archivio del commissariato, proiettando strisce d’oro sulle carte sparse sul tavolo. Elisa sedeva accanto a Matteo, entrambi piegati sui documenti raccolti durante la perquisizione nella vecchia casa di riposo. Una pila di faldoni ingialliti, cartelle con annotazioni contabili, nomi, date e appunti frettolosi, alcuni in codice.
«Ci vorranno giorni per analizzarli tutti,» disse Matteo, massaggiandosi le tempie. «Ma c’è una struttura. Donazioni, movimenti bancari, intestazioni di immobili… tutto troppo ordinato per essere casuale.»
Elisa annuì, senza distogliere lo sguardo da una cartella azzurra. Era chiusa con un fermaglio arrugginito. La aprì lentamente. All'interno, una serie di lettere scritte a mano. Il foglio in cima recava una grafia che le parve subito familiare. Il cuore le batté più forte.
«Sono di Anna,» mormorò.
Sfogliò le pagine, leggendo frammenti di dolore e disperazione. In una, Anna raccontava della paura costante, della sensazione di essere osservata, seguita. In un'altra, alludeva a una persona che aveva tentato di metterla in guardia, ma senza fare nomi. Parlava di un segreto che non sapeva come affrontare.
Ma niente che spiegasse davvero cosa le fosse accaduto.
«Non c’è un’accusa diretta, nessun nome, nessun dettaglio concreto,» disse Elisa, frustrata. «Solo il racconto confuso di una ragazza in fuga da qualcosa che nemmeno lei riusciva a definire.»
Elisa chiuse la cartella con delicatezza, come fosse una reliquia. Intorno a loro, il resto del materiale sembrava fremere d’impazienza, come se contenesse le risposte e stesse solo aspettando il momento giusto per rivelarsi.
Fu allora che Matteo scorse, in fondo a un fascicolo contabile, una ricevuta manoscritta. Il logo era sbiadito, ma si leggeva ancora: “Istituto La Selva – Bonifico trimestrale”. E sotto, una cifra che faceva rabbrividire.
«La Selva?» domandò Elisa. «Non è... una struttura psichiatrica privata, fuori provincia?»
Matteo annuì lentamente. «E se fosse lì che hanno trasferito qualcuno che poteva parlare?»
Elisa guardò Matteo con uno sguardo deciso. «Dobbiamo andare a vedere all'istituto di persona. Forse lì si nasconde qualcosa che finora ci è sfuggito.»
Il cancello dell’Istituto La Selva si aprì con un cigolio lento, quasi esitante. Elisa e Matteo scesero dalla macchina senza dire una parola. Il complesso si ergeva silenzioso tra gli alberi alti di una valle isolata, una struttura massiccia, severa, dal profilo vagamente carcerario. I vetri delle finestre erano schermati da grate sottili, appena visibili, e l’aria profumava di resina e disinfettante.
Avevano ottenuto il permesso d’accesso con una scusa, fingendosi incaricati di una verifica amministrativa su una donazione privata ricevuta dalla struttura. Nessuno sembrava troppo curioso di approfondire. Anzi, l’amministratore li accolse con un sorriso nervoso e li condusse nel suo ufficio senza fare domande.
«Molte delle nostre cartelle cartacee più vecchie sono state archiviate in un magazzino interno,» disse, indicando una porta sul retro. «Ma ci vorrà del tempo per trovare quello che cercate.»
«Lo troveremo da soli, grazie,» lo interruppe Elisa, garbatamente.
Nel magazzino, i documenti erano accatastati senza ordine apparente. Cartelle mediche, referti, fogli manoscritti e vecchie agende. Matteo aprì un armadio metallico e cominciò a sfogliare rapidamente i registri. Elisa si allontanò verso uno scaffale laterale, attirata da una serie di faldoni siglati con le iniziali “P.O.”.
Uno in particolare era più sottile degli altri, con la scritta Donazione privata – Fondazione religiosa S. G..
Lo aprì.
All’interno, ricevute, trascrizioni di colloqui e una copia di un modulo di ricovero. Il nome era stato annerito con una penna, ma un piccolo errore – una seconda copia allegata – riportava il nome per esteso: Lucia Maltoni.
Elisa trattenne il respiro. Lucia Maltoni, la sorella di Francesco Maltoni, l'amministratore della società di servizi di sicurezza privata, trovato morto.
«Matteo!» lo chiamò.
Insieme lessero le annotazioni: Lucia era stata trasferita lì con un ordine d’urgenza, senza passare da alcuna valutazione psichiatrica ufficiale. Nei commenti del medico compariva una nota inquietante: “La paziente insiste nel parlare di una rete sotterranea, di giovani scomparsi, di un sacerdote che la minaccia. Possibile delirio paranoide.”
«L’hanno fatta sparire,» sussurrò Matteo. «Forse sapeva davvero tutto.»
Elisa si voltò, lo sguardo duro. «E noi abbiamo appena scoperto dove cominciare a scavare.»
In lontananza, un rintocco metallico risuonò da un vecchio ascensore in fondo al corridoio. Non erano soli, in quel momento.
L’ascensore si aprì con un leggero cigolio, rivelando una figura che si affacciò timidamente sulla soglia. Elisa e Matteo si scambiarono uno sguardo, entrambi colti alla sprovvista.
Era una donna, sui cinquant’anni, dallo sguardo stanco. Portava un grembiule semplice, consumato dal tempo, e nelle mani stringeva un mazzo di chiavi.
«Buongiorno, mi ha mandato l'amministratore, posso aiutarvi?» chiese con voce ferma ma gentile.
Elisa si fece avanti, mostrando il tesserino della polizia. «Siamo qui per delle indagini riguardanti la vecchia casa di riposo. Stiamo cercando informazioni su alcune persone scomparse.»
La donna esitò un attimo, poi annuì. «Capisco. Mi chiamo Teresa, sono una delle custodi di questa struttura. Se volete, posso accompagnarvi in alcune stanze che potrebbero contenere documenti utili.»
Matteo la guardò con interesse. «Qualcuno qui ha avuto accesso a documenti o registri particolari negli ultimi anni?»
Teresa sospirò, poi indicò un corridoio polveroso. «Ci sono archivi vecchi, chiusi da tempo. Alcuni, però, sono stati sigillati per ordine del consiglio di amministrazione.»
Elisa prese nota mentalmente. «Qual è il motivo?»
«Non ne ho idea precisa», rispose Teresa, abbassando lo sguardo. «So solo che da quando certe persone sono scomparse, molti hanno iniziato a fare domande. Alcuni dettagli non dovevano emergere.»
Teresa fermò la loro attenzione davanti a una porta metallica chiusa da un lucchetto arrugginito. «Qui dentro», spiegò, «ci sono vecchi registri e fascicoli lasciati da chi gestiva la casa di riposo decenni fa. Forse troverete ciò che cercate, però non ho la chiave e non saprei dirvi chi potrebbe averla.»
Matteo frugò nella tasca e tirò fuori un piccolo attrezzo per forzare serrature, regalo di un amico esperto. Con attenzione e silenzio riuscì a far scattare il lucchetto. La porta si aprì lentamente, rivelando un armadio polveroso pieno di faldoni ingialliti.
Mentre sfogliavano quei documenti, Elisa si imbatté in un vecchio registro con nomi, date e annotazioni a margine, scritte con una calligrafia affrettata ma precisa. Alcuni nomi erano segnati con simboli strani, quasi codificati.
Matteo le indicò una pagina in particolare. «Guarda qui…»
Erano annotazioni sulle entrate e uscite di alcuni ospiti, ma anche richiami a somme di denaro e “trasferimenti speciali”. I due sorrisero amaramente.
Il telefono di Elisa vibrò nella tasca. Era un messaggio di Giulio Riva, il padre di Anna. Diceva soltanto: “Attenta a dove metti i piedi. Non tutti vogliono che la verità venga a galla.”