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Mia a spasso per il mondo
Capitolo 6
Il sole era ormai basso e il cielo si stendeva sopra il quartiere in sfumature rosate, come un velo leggero che annunciava la sera.
— Voglio tornare al boschetto, — disse Mia, seduta sul bordo del marciapiede. — Ho tante cose da raccontare. A Robin. A Tobia. —
Ombra le lanciò uno sguardo curioso, ma non disse nulla. Poi si alzò e annuì.
— Ti accompagno. Non mi dispiace rivedere il verde. Fa bene agli occhi e alla memoria. —
Il viaggio verso il boschetto fu tranquillo. Ombra sembrava muoversi con un passo più lento, come se quei luoghi gli riportassero alla mente qualcosa di lontano. Quando giunsero al sentiero tra le rose selvatiche, Mia riconobbe il fruscio delle foglie, il profumo della menta, il silenzio caldo del sottobosco.
Robin fu il primo ad accorgersene.
— Mia! Sei tornata! — trillò, piombando giù da un ramo e svolazzandole attorno. — Hai l’odore della strada! E di pane… e… di ferro! —
Mia rise.
— Ho visto il quartiere, Robin. E conosciuto tanti posti. E tanti odori! E anche un gattino che si era perso! L’ho aiutato a scendere da un albero! —
Tobia uscì da dietro un cespuglio, la sua presenza solida e rassicurante come sempre.
— Bentornata, piccola esploratrice. Hai lo sguardo di chi ha visto qualcosa che cambia il dentro, più che il fuori. —
Mia corse a sfiorargli il muso con il proprio.
— È tutto diverso, Tobia. Le strade parlano, e le persone sono piene di storie. Alcune fanno paura, altre scaldano il cuore. Ombra me le ha insegnate. —
Fu allora che Ombra si fece avanti, silenzioso e dignitoso. Robin lo osservò da sopra il ramo, inclinando la testolina.
— Così tu sei Ombra. Ne ho sentito parlare dai gatti del tetto, ma non sapevo che fossi reale. —
— Sono reale quanto serve, — rispose Ombra con un mezzo sorriso.
Sedettero tutti insieme, sotto il grande faggio dove l’erba era più morbida. Mia raccontò dei luoghi che aveva visto: il cortile nascosto, la fontanella frequentata dal riccio, il merlo curioso, la panettiera gentile, Pepe e la sua paura. Raccontò con entusiasmo, ma anche con attenzione, cercando di trasmettere quello che aveva provato, non solo quello che aveva visto.
— Il quartiere è come una foresta fatta di cemento e finestre — disse infine —. E bisogna imparare a camminarci dentro come si fa tra i rovi: occhi aperti, zampe leggere, e cuore saldo. —
Robin applaudì battendo le ali.
— Voglio venire anch’io, un giorno! Volerò sopra le case, parlerò con i piccioni, farò un nido nel cavo di un semaforo! —
Il cielo si stava scurendo. Tra i rami, però, si sentiva ancora il calore della giornata, e una pace leggera. Ma da molto in alto, dove la luce era già meno dorata, due occhi neri come carbone osservavano la radura. Il Corvo Nero era lì, immobile nel suo volo silenzioso, e nessuno se ne accorse.
Tranne Ombra.
— Non siamo soli — disse piano.
Poi tornò a guardare Mia, come se nulla fosse.
Quella sera, Mia tornò a casa, si riempì la pancia e si appallottolò accanto alla sua amica umana sul divano per un po', poi saltò sul davanzale e osservò il cielo che si spegneva lentamente dietro i tetti.
Dormì avvolta nel suo plaid preferito, accanto al termosifone. A notte fonda, però, qualcosa la svegliò. Non un rumore forte, ma… una sensazione. Come un richiamo.
Si stiracchiò, scese silenziosa sul pavimento e si avvicinò alla porta a vetri che dava sul giardino. La sua umana dormiva già. Mia spinse la porticina con il muso e sgattaiolò fuori, nel buio. L’aria era fredda, e profumava di terra bagnata.
Il giardino era immobile. Ma c’era qualcosa nell’aria: un fremito, un silenzio più intenso del solito.
Poi lo vide.
Sopra il ciliegio spoglio, un’ombra si stagliava contro il cielo. Un corvo. Grande. Immobile.
Il Corvo Nero.
Mia restò ferma, in ascolto. Il corvo si librò in volo senza un suono, planando davanti a lei. Tra le zampe portava qualcosa: un frammento di carta, ingiallito e leggero come una foglia secca. Lo lasciò cadere ai suoi piedi, poi parlò.
— Gatta del confine, il tuo passo è leggero, ma il mondo si fa pesante. Guarda bene ciò che passa inosservato. —
Mia annusò il foglio: c’era un odore strano, quasi di fumo, mescolato a quello di un luogo che non conosceva. Le parole erano frammentarie, sbiadite: "...sparizioni notturne… non sono randagi… attenzione ai segnali…"
— Cosa vuol dire? — sussurrò.
Il Corvo Nero non rispose. Volò via, risucchiato nel cielo scuro come un soffio che si perde tra i rami.
Mia rimase lì, nel giardino illuminato dalla luna, con il cuore che batteva forte. Il foglio leggero si muoveva appena tra le sue zampe, come se volesse dirle qualcosa di più.
La porticina era ancora socchiusa. Poteva rientrare, tornare al suo plaid, alla sua ciotola, al calore. Ci pensò...
Ci avrebbe pensato l'indomani.
All’alba, il giardino era silenzioso e argentato dalla brina. Mia non aveva dormito dopo l’incontro con il Corvo Nero. Aveva nascosto il foglietto sotto una radice del gelsomino, ma quelle parole le danzavano ancora nella mente.
La mattina dopo, il cielo era limpido, ma Mia aveva ancora addosso l’inquietudine della notte. Quel foglietto non smetteva di farle pensare. Così, nonostante il calore della casa e la colazione abbondante nella ciotola, scivolò fuori nel giardino e attraversò il boschetto.
Doveva parlarne con qualcuno. Con Ombra, o con Tobia. Fu Robin a trovarla per primo.
— Miagoli come se avessi visto un fantasma! — trillò il pettirosso, posandosi su un ramo. — Ti ho vista ieri notte… parlavi da sola nel giardino! —
Mia lo guardò seria.
— Non ero sola. C’era lui. Il Corvo Nero. —
Robin impallidì, per quanto possa impallidire un pettirosso, e batté le ali.
— Quel tipo inquietante? Sempre lassù, che ti osserva come se sapesse tutto? —
— Ha lasciato un messaggio. Parlava di sparizioni. Di pericoli. —
Fu Tobia, uscito silenzioso da un cespuglio, a interromperli.
— Mostramelo. —
Mia li guidò fino al gelsomino e mostrò il foglietto. Tobia lo annusò, poi lo prese tra i denti e lo portò verso un raggio di sole per leggerlo meglio.
— Abbiamo bisogno di parlarne con Ombra. —
Lo trovarono seduto sul suo solito muretto, con il sole che gli scaldava il pelo grigio. Mia gli porse il foglio, che aveva nascosto sotto una foglia. Ombra lo annusò, poi lo lisciò con una zampa, osservandolo con attenzione.
— Lo conosco questo tipo di carta — disse a bassa voce. — È di quelli che gli umani attaccano nei cantieri o vicino ai cassonetti. Serve a dire che lì ci sarà… una “pulizia”.
— Pulizia? — chiese Robin.
— Per loro vuol dire allontanare tutto ciò che si muove senza guinzaglio o padrone. Gatti randagi, topi, uccelli… anche quelli che non fanno male a nessuno. —
— Ma è terribile! — esclamò Mia. — Dove? —
Ombra indicò con la coda una direzione.
— Verso i capannoni abbandonati, dietro il campo da calcio. Molti mici si rifugiano là. Nessuno li disturba… finora. —
In quel momento, una piuma nera cadde accanto a loro. Il Corvo Nero li stava osservando da un lampione.
— Sapevi tutto, vero? — miagolò Mia, alzando lo sguardo.
Il Corvo non rispose, ma batté una sola volta le ali e volò in direzione dei capannoni.
— Sta dicendo di seguirlo, — sussurrò Ombra. — Venite, andiamo. —