storie, racconti e altro

Mia a spasso per il mondo

Capitolo 7

Camminarono tra sterpaglie e recinzioni rotte fino ad arrivare alla zona silenziosa dei capannoni.

Dentro, il rifugio era un caos di scatole, vecchi stracci e coperte sfilacciate. 

Tra le ombre, due occhi dorati li fissavano.

— Chi va là? —

— Amici, — rispose Ombra. 

Un vecchio gatto uscì da dietro una cassa arrugginita, era un micio robusto, dal pelo grigio chiaro tigrato, con l’aria furba e un orecchio piegato come una bandierina.
— Io sono Ciccio, — si presentò con voce rauca, ma gentile. — Abito qui da un po’… Sono rimasti solo in quattro qui con me. Ma ieri notte… Ho visto camion entrare. Hanno lasciato trappole. Domani tornano. Ho sentito gli uomini dire: “chiudiamo tutto, è ora di bonificare”. —

— Dobbiamo spostarvi subito — disse Mia. — C’è un boschetto dove potete stare, vicino al mio giardino. È tranquillo. —

Ciccio la guardò a lungo.
— Sei giovane… ma non abbiamo scelta, ci fidiamo. —

Mia, Ombra e Robin guidarono i gatti uno a uno tra i vialetti ancora deserti del mattino. Arrivarono al boschetto prima che il sole fosse alto.

Poco dopo, si udì il rombo dei camion in lontananza. Troppo tardi. Il rifugio improvvisato era vuoto.

Mia salì sul muretto e guardò il cielo. Il Corvo Nero era lì, su un ramo spoglio, in silenzio.

Non disse una parola.

Nei giorni seguenti, Mia andò a trovare Ciccio e gli altri gatti salvati da rifugio, portando piccoli bocconi dalla ciotola di casa o dividendo i resti con Tobia, che aveva sempre qualcosa da rosicchiare. Il Corvo Nero non si fece più vedere per un po’, ma ogni tanto, Robin raccontava di averlo visto in volo sopra i tetti.

Una sera, tornando a casa dopo il tramonto, Mia si fermò un attimo sul davanzale della cucina. La finestra era aperta, e dentro la padrona stava leggendo. Sul tavolo c’era una tazza di tè, e il profumo di biscotti alla vaniglia.

Mia saltò dentro e si accoccolò sulla poltrona, con un sospiro felice.

Era bello essere avventurosa… ma anche sapere di avere un posto caldo in cui tornare.

Una mattina quando l’aria era già frizzante, nel boschetto si sentiva l’odore del pesce fresco provenire dai vicoli: il pescivendolo del mercato aveva messo in mostra le sue cassette di sardine, merluzzi e filetti di sgombro.

— Strano… — borbottò il vecchio Alfredo, il pescivendolo. — Mi pareva di averne lasciati di più...  —

Quella scena si ripeté per tre giorni di fila. Ogni volta mancavano pochi filetti, e sempre dalle cassette lasciate incustodite solo per qualche minuto.

Mia, che quella mattina era uscita per una passeggiata con Tobia e Lillo, un barboncino curioso che viveva in una villetta vicina, drizzò le orecchie.

— Ci stanno rubando il pesce! — abbaiò Lillo indignato.

— E io che speravo ne cadesse un pezzetto per terra... — sospirò Tobia.

— Dobbiamo scoprire chi è stato, — miagolò Mia — anche io speravo in una seconda colazione questa mattina. —

Quella sera, non appena furono posizionate le casse di pesce sulla strada, si appostarono in un angolo del mercato. Tobia si nascose tra le cassette di plastica, Lillo si sdraiò sotto una panchina, e Mia si accucciò su un tetto basso da cui osservare tutto.

Il silenzio fu rotto solo dal canto di un gufo. Poi… un fruscio. Un’ombra piccola e scattante sbucò da dietro un sacco dell’immondizia, si avvicinò alle cassette, e… zac! Afferrò un filetto di pesce e scappò via.

— Lo vedo! — sussurrò Mia. — Seguitelo! —

Corsero tra i vicoli stretti, scavalcarono una ringhiera e arrivarono in un cortile incolto. Lì, accanto a un vecchio vaso rovesciato, trovarono… un piccolo riccio tremante, col filetto ancora tra le zampette.

— Per favore, non arrabbiatevi… — disse con vocina timida. — Ho tanta fame e non so dove andare. —

Tobia si avvicinò piano.
— Ma sei solo un cucciolo… —

Mia lo guardò con tenerezza.
— Ti troveremo un posto sicuro. E magari… del cibo giusto per te. —

Quella sera, grazie a Lillo, trovarono nel giardino della sua padrona un angolo tranquillo, con una cuccia per cani mai usata e foglie morbide ovunque.

— È perfetto! — squittì il riccio. — Posso davvero restare? —

— Certo, — disse Lillo. — Ti chiameremo… Spino. —

Spino si accoccolò nella cuccia, mentre Mia, Tobia e Lillo si sedettero poco lontano a guardare le stelle.

— Un mistero risolto, — disse Tobia.

— E un amico in più, — aggiunse Mia, stiracchiandosi.

Poi si alzò, pronta a tornare a casa.

Una mattina di Ottobre, il sole filtrava tra le foglie come tante monete d’oro. Mia, dopo aver fatto colazione con un avanzo di tonno lasciato in giardino, si stiracchiò pigramente sul muretto vicino alla siepe. Lì accanto, Robin saltellava tra i rami.

Proprio mentre stava per acciuffarlo — per gioco, come erano soliti fare — vide qualcosa che la fece fermare di colpo.

Una fessura! Un piccolo buco tra i rami fitti della siepe, là dove sembrava esserci solo verde. Sembrava chiamarla.

Mia ficcò prima una zampa. Poi l’altra. Poi il musetto.

— Mh… profumo di merenda! — esclamò, fiutando l’aria.

Con un guizzo, si infilò nel passaggio segreto e si ritrovò... in un cortile asfaltato pieno di bambini che correvano, gridavano e lanciavano palloni colorati.

Robin non la seguì.

Uno di loro la vide per primo: un bimbetto ricciolino con la faccia sporca di crema al cioccolato.

— Una gattinaaa! — urlò, come se avesse scoperto l’oro.

In un attimo, Mia fu circondata.

Alcuni bambini si avvicinarono con delicatezza, altri si sedettero per terra chiamandola a bassa voce. Mia, dopo un primo momento di panico, e un salto spettacolare sullo zaino di un ragazzino, si lasciò accarezzare.

Una bimba con le trecce le porse un pezzo di focaccia ancora tiepida.

— Tieni, micia, è buonissima! —

Mia annusò, assaggiò… e decise che la focaccia era la seconda cosa più buona al mondo dopo i filetti di sgombro.

Passò qualche momento tra coccole, grattini sulla pancia e risate. Una bimba cercò persino di metterle lo zainetto della sua bambola, ma Mia gli saltò via con un’alzata di baffi offesa.

Poi suonò la campanella.

— Oh, è finita la ricreazione! Torna domani, micia! — gridarono tutti, mentre correvano dentro.

Mia restò da sola nel cortile, con la focaccia ancora sul naso. Si stiracchiò soddisfatta, sbadigliò e si guardò intorno.

Fece per rientrare nella siepe… ma dove accidenti era la breccia?

Girò in tondo due volte, soffiò contro una foglia e infine trovò il varco, che era molto più stretto da quella parte, a dire il vero. Ne uscì come un tappo di sughero da una bottiglia, atterrando con un “pof!” sull’erba.

Quel giorno Mia imparò due cose: i bambini sanno fare le coccole come nessun altro e le siepi hanno il senso dell’umorismo.