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L’invito misterioso
Terza prima
Quella notte Babbo Natale aveva dovuto effettuare un atterraggio d’emergenza.
Il vento soffiava così forte e la neve cadeva così abbondante che non aveva più visto l’albero di Lumia, quello che da sempre veniva addobbato con una moltitudine di luci nella piazza principale e che, per lui, fungeva da faro.
Non fu un atterraggio morbido: dovette evitare gli alberi, contrastare le raffiche e affrontare la scarsa visibilità dovuta al buio e ai fiocchi ghiacciati che gli finivano sugli occhi.
Quando finalmente riuscì a posare la slitta al suolo, si rese conto che il sacco contenente i regali si era rovesciato, disseminandoli tutt’intorno.
La slitta non voleva saperne di far ripartire gli strumenti per la navigazione, e le renne, stanche e infreddolite, erano preoccupate di non ritrovare la strada di casa.
«Non era decisamente così che doveva andare…» pensò tra sé Babbo Natale, sospirando.
— Ah, se ci fossero i miei cari amici elfi! — brontolò. — Loro saprebbero cosa fare e recupererebbero tutti i regali in un batter d’occhio! —
Rudolph si avvicinò e illuminò il suo bel naso rosso, come a incoraggiarlo.
«Hai ragione, Rudolph. Recuperiamo i regali e cerchiamo un riparo per la notte. Lumia era l’ultimo paese, dopotutto. Speriamo di riuscire comunque a consegnare tutto. Anche se… quella bufera non l’avevo prevista! Qui c’è lo zampino dell’elfo Filoneo e della sua passione per le sorprese!»
Quando ebbero finito di raccogliere i pacchi sparsi nella neve, Babbo Natale e le renne si incamminarono lungo l’unico sentiero ancora visibile.
Dopo un po’ intravidero una piccola baita di legno, le finestre illuminate e il camino fumante.
Nessun accenno al Natale, nemmeno una ghirlanda sulla porta.
Babbo Natale sapeva chi ci abitava. Lo conosceva fin da bambino, e sapeva che la vita lo aveva reso duro e schivo.
Bussò.
Un uomo di grossa stazza, con la barba incolta e i capelli arruffati, aprì la porta.
Nel suo volto Babbo Natale vide ogni sofferenza affrontata, e nei suoi occhi tutta la tristezza accumulata negli anni.
«Oh! Oh! Oh! Sono Babbo Natale!» disse con tono allegro.
«Sì, come no! E io sono Mago Merlino!» rispose l’uomo scoppiando in una fragorosa risata.
Era chiaro che pensava di trovarsi davanti a uno dei tanti travestiti del periodo natalizio.
Babbo Natale scosse la testa, con un sorriso malinconico. Poi parlò piano, come chi ricorda una vecchia storia.
«Franco… ti ricordi quando da bambino eri una peste tutto l’anno? Avevi fatto impazzire genitori e insegnanti con tutti quegli scherzi che ti sembravano così divertenti. Così, quell’anno, invece del trenino completo ti portai solo la locomotiva. Ti arrabbiasti, ma andasti dai tuoi genitori a chiedere spiegazioni.
L’anno dopo, quando eri stato buono, ti portai il trenino intero… e anche la stazione.»
Franco si fermò a metà strada verso il camino.
Quel ricordo lo colpì come una lama sottile: era passato così tanto tempo da sembrare appartenere a un’altra vita.
Ma era tutto vero.
E solo Babbo Natale avrebbe potuto ricordarlo.
Franco deglutì, cercando di celare la commozione.
Poi si voltò e chiese, con voce ruvida:
«Cosa vuoi, Babbo Natale?»