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La marea del silenzio
Capitolo 18
Il bosco si fece più fitto man mano che avanzavano, i rami scrostati e le radici sporgenti rallentavano ogni passo. Elisa strinse lo zaino, il cuore che batteva forte; Matteo teneva in mano la torcia, illuminando con prudenza il sentiero davanti a loro.
«Se qualcuno ci ha piazzato trappole, questo è il momento di scoprirlo,» mormorò Matteo, abbassandosi per osservare il terreno.
Pochi metri più avanti, tra due alberi massicci, intravvidero l’apertura: una botola quasi invisibile, coperta da foglie e rami secchi. Sembrava un ingresso secondario, dimenticato dal tempo. Elisa si chinò, passando un dito sulla superficie polverosa, sentì una maniglia nascosta sotto uno strato di muschio.
«Ci siamo,» sussurrò.
Prima di aprire, si scambiarono uno sguardo carico di tensione: il rifugio non sarebbe stato vuoto. Qualcuno li aspettava, qualcuno che conosceva bene quella zona e forse sapeva già che sarebbero arrivati.
Con un colpo deciso, sollevarono la botola. Un odore di umidità e legno marcito li investì. La luce della torcia rivelò una scala di ferro arrugginita che scendeva lentamente nell’oscurità. Ogni gradino cigolava sotto il loro peso, ma il suono non si propagava oltre le mura spesse: il rifugio era nascosto e protetto come una fortezza.
In fondo alla scala, una porta di metallo chiuso con un semplice lucchetto li costrinse a fermarsi. Elisa tirò fuori il fascicolo delle lettere di Anna: mappe, appunti, dettagli sui percorsi e le persone coinvolte. Non c’era alcun codice, alcun indizio ovvio, ma Matteo notò qualcosa: piccoli segni sulla porta, graffi impercettibili, che sembravano casuali a prima vista.
«Non è un lucchetto qualsiasi,» osservò. «Qualcuno ha voluto che sembrasse semplice, ma i segni… sono come una guida.»
Seguendo il loro intuito, interpretarono i graffi come coordinate: una combinazione di pressione, rotazione e inclinazione delle dita sul lucchetto. Dopo alcuni tentativi cauti, un clic risonò nel silenzio. La porta si aprì, rivelando un corridoio stretto, illuminato da flebili lampade elettriche ancora funzionanti, che conduceva verso l’interno del rifugio.
Elisa inspirò a fondo. «Non sappiamo ancora cosa troveremo, ma tutto quello che abbiamo raccolto, qui dentro, ci porterà più vicino alla verità.»
Matteo annuì, e insieme fecero i primi passi nel corridoio, consapevoli che ogni stanza, ogni documento, ogni oggetto poteva contenere la chiave per capire chi aveva ucciso Maltoni e Vernazza, e dove erano finite le persone scomparse.
Il rifugio non era solo un luogo fisico: era il cuore della rete criminale, e finalmente erano lì, a un passo dalla verità.
Il corridoio del rifugio era stretto e umido, con pareti di cemento scrostato che sembravano assorbire ogni suono. Elisa teneva la torcia alta, illuminando file di scaffali arrugginiti e scatole impolverate. Matteo seguiva, pronto a intervenire se qualcosa fosse apparso sospetto.
«Guarda qui,» disse Matteo, indicando alcune cartelle etichettate con nomi e date, molte risalenti a più di dieci anni prima. «Sembrano registrazioni delle persone scomparse. Non tutte, ma abbastanza da iniziare a capire un modello.»
Elisa aprì una cartella e scorse i nomi: alcuni li conosceva dai documenti dell’istituto “La Selva”, altri erano completamente nuovi. Accanto a ogni nome c’erano note sintetiche: spostamenti, minacce, controlli medici, ricoveri forzati. Alcuni fogli mostravano persino piccoli segni grafici, simboli che sembravano innocui ma che in realtà indicavano il grado di controllo che la rete esercitava su ogni persona.
«È tutto organizzato,» sussurrò Elisa. «Ogni mossa è pianificata.»
Matteo annuì. «E questo spiega perché Maltoni era in pericolo: aveva iniziato a collegare i nomi, le date, le strutture… se avesse continuato, avrebbe scoperto l’intero schema.»
Elisa alzò lo sguardo dal mucchio di carte mentre, fuori, un rombo lontano sembrava crescere di intensità, seguito da voci indistinte e luci in movimento verso il porto. «Hai sentito?» bisbigliò.
Matteo annuì. In quel momento nessuno avrebbe sospettato che si trattasse di qualcosa di pianificato: sembrava un’emergenza reale. Solo più tardi, incrociando annotazioni e orari, capirono che quella “emergenza” aveva funzionato come una calamita — qualcosa di pensato per richiamare le pattuglie che sarebbero dovute arrivare in appoggio al rifugio e allontanare gli uomini della rete, lasciando il rifugio per qualche ora meno sorvegliato.
Più tardi, in commissariato, Elisa avrebbe aperto il browser per cercare tracce dell’accaduto. I titoli online sarebbero stati tutti uguali: «Allarme al porto: incendio su peschereccio, vigili e forze intervenute»; foto di motovedette e video amatoriali. Ma scavando fra gli aggiornamenti sarebbe emerso un particolare strano: le immagini ufficiali avrebbero mostrato controlli e casse aperte, ma nessuna traccia dell’incendio indicato nei primi messaggi. Il commento di un cronista locale avrebbe parlato di «segnalazione per merci sospette» e di indagini in corso. Qualcuno aveva creato un pretesto pubblico per spostare la sorveglianza — non per salvarsi da un pericolo, ma per svuotare temporaneamente le guardie attorno al rifugio.
E ancora in seguito, passando in rassegna i fotogrammi recuperati da telecamere vicine e segnalazioni di turno, Elisa avrebbe capito il disegno: il taglio alla gomma non era stato pensato per fermarli a oltranza, ma per costringerli a usare una via diversa — più lenta, meno visibile — e per sondare le loro reazioni. Non erano stati lasciati soli per indulgenza: erano stati osservati da lontano, messi alla prova, valutati.
Scendendo più in profondità, trovarono una stanza separata, con armadi chiusi a chiave. Su un tavolo, alcune lettere e diari personali erano sparsi, probabilmente lasciati lì in fretta da chi li aveva custoditi. Elisa prese in mano un quaderno con la copertina logora: apparteneva a Lucia Maltoni. Le pagine erano piene di annotazioni confuse, resoconti dei suoi tentativi di denunciare abusi e minacce, e descrizioni di spostamenti che la rete aveva imposto su di lei.
«È stato Marini,» mormorò Elisa, leggendo le frasi confuse ma inquietanti. «L’ha fatta passare per pazza. È per questo che è stata chiusa all’istituto, così nessuno avrebbe ascoltato le sue rivelazioni.»
Matteo fece un passo indietro, osservando la stanza. «E qui dentro, tra questi documenti, possiamo capire chi ha ordinato le uccisioni di Maltoni e Vernazza. Tutto è collegato: le persone scomparse, le minacce, l’internamento forzato. Il rifugio è il cuore operativo della rete.»
Elisa serrò le labbra, il pensiero fisso: finalmente avevano tra le mani prove concrete. Ma sapeva che la rete non si sarebbe fermata davanti a niente. Ogni passo che avrebbero fatto da quel momento in poi sarebbe stato sorvegliato, ogni decisione poteva costare caro.
Il rifugio restava un labirinto di segreti, ma finalmente avevano iniziato a far combaciare i pezzi del puzzle. Ora, bisognava solo capire chi, materialmente, aveva tolto la vita a Maltoni e Vernazza, e soprattutto, dove erano finite le persone scomparse.
Elisa sfogliava lentamente le carte, mentre Matteo osservava annotazioni e mappe. Alcuni fogli riportavano nomi noti: aziende, imprenditori locali, ma anche quelli dei parroci di Monteriva.
«Guarda qui,» disse Elisa, indicando un registro di donazioni. «Don Galli e Don Luciano hanno firmato alcune ricevute di versamenti fatti a favore della chiesa… ma alcune di queste donazioni sembrano provenire da persone che ora risultano scomparse.»
Matteo si chinò sul documento. «Non significa che i parroci fossero complici. Sembra più che siano stati usati come copertura involontaria. Chi gestiva la rete criminale ha sfruttato la chiesa per legittimare il flusso di denaro.»
Elisa annuì. «Il culto che organizzavano non era fine a se stesso. Era una facciata. Sotto, c’era un meccanismo per riciclare denaro e controllare le persone.»
Il fascicolo continuava: appunti, schemi e simboli che collegavano eventi rituali a pagamenti, trasferimenti e minacce. Il nome di Giulio Riva appariva più volte, a indicare che il padre di Anna, pur non essendo coinvolto direttamente, era stato trascinato nel sistema come intermediario o testimone inconsapevole di alcune dinamiche.
«Quindi il quadro è chiaro,» disse Matteo. «I parroci hanno fornito la copertura, Marini e la rete criminale hanno orchestrato tutto, e chi è stato minacciato o sparito è stato manipolato attraverso la chiesa e le strutture che avevano a disposizione. Tutto è collegato.»
Elisa chiuse il registro e lo appoggiò con un gesto deciso. «Non possiamo ancora accusare nessuno direttamente, ma abbiamo le prove che ci servono per ricostruire l’intera rete. Adesso dobbiamo solo capire chi materialmente ha ucciso Maltoni e Vernazza e dove sono finite le persone scomparse.»
Matteo annuì. «E sappiamo che non sarà semplice.»
Elisa strinse le mani in pugno, lo sguardo fisso sul fascicolo. La rete criminale era potente, ma ora avevano la mappa dei collegamenti. Ogni documento, ogni nome e ogni appunto li avvicinava alla soluzione. Il passo successivo sarebbe stato decisivo: scoprire la verità sui due omicidi e liberare le persone intrappolate, prima che la rete potesse reagire.
Elisa e Matteo avanzarono lentamente nel cuore del rifugio, illuminando con cautela ogni angolo. Tra scaffali impolverati e armadi chiusi a chiave, notarono finalmente qualcosa che li fece fermare: tracce di sangue essiccato vicino a un vecchio tavolo, appena accennate ma chiaramente visibili sotto la polvere.
«Non è recente,» disse Matteo, piegandosi per osservare meglio.
Elisa annuì, stringendo la torcia. «E guarda qui,» aggiunse, indicando alcune annotazioni su un quaderno trovato tra le carte: orari, nomi, appunti frammentari. «Qualcuno ha segnato incontri, trasferimenti e persino messaggi minacciosi indirizzati a Maltoni e Vernazza.»
Tra le annotazioni spuntava un nome ricorrente: Giovanni Marini. Appunti sparsi indicavano incontri segreti, numeri di telefono criptici e dettagli logistici che non erano stati notati prima. «È lui,» sussurrò Elisa, come se pronunciare il nome potesse scuotere l’aria attorno a loro. «Ha orchestrato tutto, ma non lo ha fatto da solo.»
Matteo guardò attentamente le scritte, collegando date e luoghi. «E queste note coincidono con gli spostamenti di Vernazza prima della morte. Qualcuno lo ha seguito, forse fino alla spiaggia, e ha deciso che non doveva scoprire troppo.»
Elisa chiuse il quaderno. «Ora sappiamo chi ha avuto interesse a eliminare entrambi: Marini e chi lavorava sotto di lui. Ma dobbiamo ancora scoprire chi ha materialmente eseguito gli omicidi e dove sono finite tutte le persone scomparse.»
Il corridoio restava silenzioso, ma il peso della verità incombeva su di loro. Ogni passo che avrebbero fatto da quel momento in poi avrebbe avvicinato la soluzione del caso, ma anche esposto loro un rischio crescente.
Elisa e Matteo si scambiarono uno sguardo deciso. «Andiamo avanti,» disse lei. «Ogni indizio qui dentro ci avvicina a chiudere il cerchio.»
Elisa sfogliava rapidamente i documenti trovati nel rifugio, mentre Matteo esaminava una serie di registrazioni e note logistiche. Ogni foglio sembrava tessere un filo invisibile tra gli omicidi e le sparizioni.
«Guarda questo,» disse Elisa, indicando una serie di appunti con date e nomi. «I movimenti di Maltoni prima di essere ucciso coincidono con gli spostamenti di alcuni collaboratori di Marini.»
Matteo annuì. «E qui,» aggiunse, mostrando un foglio piegato e macchiato, «ci sono le annotazioni di chi materialmente ha seguito Vernazza fino alla spiaggia. Non c’è scritto “uccidere”, ma le tempistiche e i segnali di controllo indicano chiaramente chi ha eseguito gli ordini.»
Elisa trattenne il respiro. «Quindi Marini ha orchestrato tutto, ma qualcuno ha fatto il lavoro sporco. E ora sappiamo chi.»
I due si scambiarono uno sguardo carico di tensione: conoscere i nomi era un passo avanti fondamentale, ma restava da capire dove fossero finite le persone scomparse, e se alcune di loro fossero ancora vive.
Matteo indicò un’altra sezione del rifugio, più nascosta. «Qui ci sono mappe dei percorsi, riferimenti a strutture lontane e annotazioni sui trasferimenti. Alcuni nomi corrispondono a quelli che erano stati segnalati come spariti anni fa.»
Elisa comprese subito: «Non tutte le persone sono morte. Alcune sono state internate, altre nascoste, alcune ancora in mano alla rete.»