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La marea del silenzio

Capitolo 22

Il cielo sopra Monteriva era una lastra di piombo che prometteva pioggia, e l’aria gelida del tardo pomeriggio si appiccicava ai vestiti, rendendo ogni movimento più rigido. Elisa, Matteo e Ricci attraversarono il sagrato del Palazzo Vescovile con passo veloce, ancora scossi da ciò che avevano trovato alla Canonica. La scheda sanitaria, il letto sfatto, il silenzio pesante di un luogo usato come copertura. Lucia era stata lì. Poco, ma era stata lì.

La tensione si strinse attorno ai tre come un elastico.

«Non ci sono dubbi,» disse Ricci, alzando lo sguardo verso Elisa e Matteo. «Il Castellano ha usato la canonica solo come punto di transito. Lucia è stata spostata.»

Elisa serrò le labbra. «E dove?»

Ricci indicò un foglio con mappe schematizzate e annotazioni interne, tutte intestate a prestanome. «Questa villa, fuori città. Non è ufficiale, non appare su nessun registro pubblico, ma i movimenti di forniture e personale rivelano che qualcuno l’ha usata come rifugio sicuro. Qualcuno che sa di noi, ma non abbastanza per farla sparire del tutto.»

Matteo si accostò, guardando i tracciati segnati sulla carta. «Quindi non è più la canonica. Non è la Selva. È un luogo isolato, sotto copertura.»

«Esatto,» confermò Ricci. «E dai registri risulta che le ultime visite di supervisione sono state registrate due giorni fa. Chiunque l’abbia presa, l’ha trattata come una prigioniera, ma non come una vittima da eliminare.»

Elisa respirò a fondo. «Quindi è viva. E non l’hanno messa in un ospedale o in una struttura istituzionale.»

Ricci annuì. «Abbiamo un vantaggio. Possiamo arrivare prima che la spostino di nuovo.»

Il silenzio cadde per un attimo mentre tutti e tre fissavano la mappa. La villa era circondata da un piccolo bosco, senza strade dirette di accesso visibili. Un rifugio perfetto per chi vuole nascondersi, ma anche un luogo che poteva essere sorvegliato senza attirare attenzioni.

«Dobbiamo muoverci adesso,» disse Ricci, stringendo le mani sul volante mentre lasciavano il parcheggio. «La squadra seguirà le nostre tracce, ma qualsiasi errore potrebbe costare caro.»

La strada che saliva verso le colline di Monteriva era deserta. I fanali dell’auto di Ricci tagliavano il buio con un fascio di luce biancastra, mentre l’asfalto irregolare vibrava sotto le ruote. Elisa era seduta davanti, accanto al procuratore; Matteo sul sedile posteriore, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, come se cercasse di individuare qualcosa nel nero compatto degli ulivi.

«Ripetiamolo ancora una volta,» disse Ricci, senza distogliere gli occhi dalla strada. «Niente iniziative personali. Se c’è qualcuno nella villa, potremmo trovarci davanti persone disperate, o pronte a scappare. O peggio.»

«Lo sappiamo,» rispose Elisa. Ma la voce era tesa.

«E ricordate,» aggiunse lui, «se Lucia è davvero lì, potrebbe essere in condizioni critiche. Non dobbiamo spaventarla. Non dobbiamo correre rischi inutili.»

Matteo appoggiò una mano sul sedile davanti. «La troveremo. Non siamo più al buio adesso.»

Ricci non commentò. Ma le sue nocche sbiancate sul volante dicevano abbastanza.

Raggiunsero il punto in cui la strada sterrata si biforcava. A sinistra, un sentiero dirigeva verso le case sparse. A destra, una salita ripida conduceva a un cancello verde, alto, con un lampione rotto che pendeva da un filo arrugginito.

«Eccolo.» Elisa lo indicò prima ancora che l’auto si fermasse.

Il procuratore spense i fari, lasciando solo le luci di posizione. «Nessun segnale di auto.»

«Nessuna luce accesa,» aggiunse Matteo. 

Scivolarono fuori dalla vettura, chiudendo le portiere senza far rumore. L’aria odorava di terra umida e ruggine.

Elisa si avvicinò al cancello. 

«Aspettate,» sussurrò.

Ricci e Matteo la raggiunsero. Sul metallo scrostato, accanto al lucchetto, c’era un graffio fresco. Un’incisione minuscola, quasi invisibile: una L.

Come quella del braccialetto. Identica.

Matteo trattenne il fiato. «È recente. Molto recente.»

«Qualcuno l’ha lasciata come segno.» Elisa sfiorò la lettera con il pollice. «Potrebbe essere Lucia. O qualcuno che vuole farci credere che lo sia.»

Ricci si chinò ad analizzare il lucchetto. «Non è chiuso bene. Come se qualcuno l’avesse richiuso di fretta.»

Una scarica di adrenalina attraversò tutti e tre.

«Andiamo,» disse il procuratore. Apertura breve, decisa. Nessun rumore metallico.

Il cancello si aprì quel tanto che bastava per farli passare.

La villa si rivelò in controluce: un edificio padronale di pietra, alto, dalle finestre nere come orbite vuote. L’erba era alta, bagnata dalla rugiada, e scricchiolava sotto i passi. Un odore acre, come di legna bagnata e muffa, aleggiava nell’aria.

«Matteo, dammi la torcia.» disse Ricci.
Elisa ne accese una seconda.

Si muovevano compatti. Avanzarono lungo il viale che conduceva all’ingresso principale. Il portone era socchiuso.

Ricci alzò una mano, fermandoli. «Qualcuno è dentro.»

Matteo indicò il retro. «Potremmo entrare da una finestra laterale, come l’altra volta.»

«No,» disse Elisa. «Se qualcuno sta controllando l’ingresso, potrebbe esserci un’uscita sul retro. Se ci separiamo, rischiamo di perderlo.»

Ricci rifletté un attimo. «Avete ragione. Entriamo tutti insieme.»

Spinse lentamente la porta. Il cardine emise un cigolio basso, sinistro.

L’interno era ancora più buio. L’odore di chiuso era pesante.

Fecero pochi passi e si fermarono.

Sul pavimento dell’ingresso, c’era una scia. Una sottile linea di polvere spazzata via, come se qualcuno avesse trascinato qualcosa — o qualcuno — attraverso la stanza.

«Va verso le scale,» notò Matteo.

La seguirono. Ogni passo sul legno antico produceva un rumore sordo. Le scale saliva­no al piano superiore, immerse nell’ombra.

Elisa si chinò per esaminare meglio la polvere. «Non è sangue. È… cenere?»

Matteo si inginocchiò accanto a lei. «Sì. Ma perché cenere?»

Ricci indicò una porta semiaperta sulla destra. «Perché qualcuno ha bruciato qualcosa qui dentro. O sta bruciando qualcosa adesso.»

La gola di Elisa si chiuse. «Documenti.»

«Probabile.» Ricci spinse la porta con la punta del piede.

Dentro, una stanza spoglia. Solo un tavolo, una sedia e un braciere portatile, ancora fumante. Sul pavimento, frammenti neri di pagine distrutte. E accanto al braciere, una cartellina mezza carbonizzata, con una scritta ancora leggibile sul bordo inferiore.

MALTONI, L.

Matteo lasciò andare un’imprecazione soffocata. «Eravamo vicinissimi. Vicinissimi.»

Elisa prese in mano ciò che restava della cartellina. Le dita tremavano. «Si stanno liberando di tutto. Qualcuno ha capito che li stiamo stringendo.»

Ricci tastò la superficie del braciere. «Caldo. Molto caldo. Sono passati da qui pochi minuti fa.»

All’improvviso, un rumore dal piano superiore.

Un tonfo secco. Poi un altro.

Matteo scattò in piedi. «C’è qualcuno sopra.»

Elisa e Ricci si voltarono verso la scala nello stesso istante.

Un terzo rumore. Come un mobile rovesciato.
Poi passi rapidi.
Pesanti.
Decisi.

E una porta che sbatteva contro un muro.

«Fermi!» gridò Ricci, già correndo verso le scale.

Elisa gli fu dietro, Matteo subito dopo.

Quando raggiunsero il pianerottolo, il corridoio era vuoto.

Ma in fondo, una finestra era aperta. La tenda svolazzava nel vento freddo della notte.

Qualcuno era saltato giù.

Elisa si affacciò senza esitare. Nella terra bagnata, due impronte fresche affondavano nel fango. Appena lasciate.

Matteo guardò oltre. «Sta correndo verso il bosco!»

Ricci strinse i denti. «Andiamo!»

Mentre si gettavano fuori dalla villa, Elisa si fermò per un istante. Sul davanzale, incastrato tra la vernice scrostata e un frammento di vetro, c’era un lembo di stoffa.

Grigio chiaro. Ruvido. Tagliato di netto.

«È di un'uniforme,» disse. «Uniforme da custode. O da guardia privata.»

Matteo la fissò. «Allora non era un fuggitivo qualsiasi.»

Ricci annuì, cupo. «No. Quello era qualcuno che lavora per loro.»

Un ululato del vento attraversò la collina.

Poi, dalle ombre del bosco, un rumore di rami spezzati.

E una voce. Un lamento. Bassissimo.

Non un uomo.

Una donna.

Matteo e Elisa si guardarono negli occhi, paralizzati da un impulso uguale.

«Lucia.»

Il lamento si ripeté. Più chiaro. Più vicino.

Elisa si immobilizzò, la torcia stretta nella mano come un’arma. Matteo le sfiorò il braccio, un gesto rapido, come per accertarsi che anche lei l’avesse sentito davvero.

Ricci non perse tempo. «Andiamo. Ma lenti.»

Scivolarono lungo il pendio, dove la terra era cedevole e le foglie inzuppate rendevano ogni passo un rischio. Il bosco sembrava vivo, come se respirasse intorno a loro. I rami bassi graffiavano le giacche, i tronchi oscuri si alternavano a vuoti minacciosi.

Un altro gemito.

Questa volta non era un lamento.
Era un sussurro.

«…aiuto…»

Elisa trasalì. Era una voce femminile. Fioca, strozzata.

«Lucia!» chiamò a bassa voce, ma Ricci le posò una mano sulla spalla.

«Non possiamo esserne certi. Potrebbe essere un’esca.»

Aveva ragione. Eppure… il tono, spezzato, riconoscibile, sembrava un marchio di dolore già sentito.

Matteo si chinò, indicando un punto tra gli alberi. «Lì. C’è qualcosa.»

Una figura. Seduta o forse inginocchiata, appoggiata contro un tronco. I capelli scuri incollati alla fronte, una giacca troppo grande sulle spalle. Tremava.

Elisa accelerò, nonostante il monito di Ricci. «Lucia! Lucia!»

La donna alzò lentamente il viso.

Non era come nelle foto. Era scarna, pallida, gli occhi infossati. Ma era lei.

«Sono io» sussurrò Lucia, con un filo di voce.

Elisa le fu accanto in un istante, inginocchiandosi, le mani sulle sue braccia ghiacciate. «Siamo della polizia. Sei al sicuro, hai capito? Ora sei al sicuro.»

Lucia scosse la testa. «No… no, non lo sono. Lui… è qui.»

Ricci si irrigidì. «Chi? Chi ti ha portata via dalla canonica?»

Matteo guardò indietro, verso la villa. «Il tipo fuggito dalla finestra? Era lui?»

Lucia fece un piccolo cenno. «Non… da sola… mi hanno spostata più volte… ma ieri… ieri ero qui… perché lui doveva prendere… qualcosa.»

Gli occhi le si persero nel vuoto, come se ricordare fosse più doloroso della realtà.

Elisa le parlò piano: «Lucia, ascoltami. Chi è lui? Come si chiama?»

Lucia aprì la bocca, ma un ramo spezzato alle loro spalle zittì tutti.

Ricci fece cenno di abbassarsi. «Non siamo soli.»

Matteo ed Elisa spensero la torcia, lasciando solo un filo di luce dalla luna filtrare tra i rami. Il bosco sembrò contrarsi intorno a loro, come trattenendo il fiato.

Un passo.
Poi un altro.
Pesante. Calcolato.

Ricci portò la mano alla fondina.

«Fermi.» Una voce maschile, bassa, arrivò dall’oscurità. «Nessuno si muova.»

Lucia tremò. «È lui…»

Elisa si voltò appena, pronta a coprirla. «Non ti avvicinare!»

Un'altra voce, più calma, tagliò il buio come un colpo di lama.

«Metti via la pistola, Ricci. Non serve a nulla qui.»

Quella voce. Profonda. Autoritaria.

Matteo la riconobbe per primo. «No… non può essere.»

Quando la figura emerse tra gli alberi, il respiro di Elisa si spezzò.

L’uomo indossava un cappotto lungo, scuro. Il volto segnato da rughe profonde. Gli occhi, però, brillavano allo stesso modo di sempre: lucidi, intelligenti.

Era qualcuno che nessuno di loro avrebbe mai immaginato di vedere lì.
Qualcuno che, fino a quel momento, era stato solo un nome sfiorato nei documenti, nei sospetti, nelle confidenze di chi non c’è più.

«Buonasera,» disse con una calma glaciale.
Come se non stessero nel mezzo di una caccia.

«Non pensavo mi avreste trovato così presto.»

Si fermò a pochi metri da loro, le mani bene in vista, come se sapesse esattamente quanto fossero pericolosi.

Ricci serrò la mascella. «Ispettore Quadri.»

L’uomo inclinò leggermente il capo, quasi in un saluto cortese.

«Immagino che adesso vogliate spiegazioni.»

Elisa scattò in piedi, furiosa. «Lei ha rapito Lucia. Ha ucciso Vernazza. Ha manipolato tutto!»

Quadri sollevò un sopracciglio, appena. «Cara Elisa… non tutto. Io ho solo mantenuto l’ordine. Altri… hanno scelto le azioni più sporche.»

«Quali altri?» ringhiò Matteo.

L'ispettore sorrise appena. «Non siete ancora pronti per quel nome.»

Poi guardò Lucia. «E tu, mia cara… avresti dovuto tacere. Ma ormai è tardi.»

Fece un passo avanti.

Ricci sfoderò la pistola. «Non un passo di più!»

L’uomo si fermò. Ma non sembrò colpito. Né impaurito.

Si limitò a dire:

«Non avrei mai voluto arrivare a questo. Ma se devo farmi capire… lo farò.»

Il vento soffiò tra le foglie.
Un rumore alle spalle.
Un’ombra si mosse dietro Elisa.

Non erano soli.

E in quell’istante, tutto esplose.