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La marea del silenzio

Capitolo 23

Il boato nel bosco aveva scosso la collina come un animale colpito a morte. Terra e frammenti di legno volavano nell’aria, urtando i corpi di Elisa, Matteo e Ricci che si erano gettati a terra per istinto.

Un istante di silenzio assordante.
Poi, la realtà tornò a colpire all’improvviso: lamenti, foglie che tremavano, un odore acre di polvere da sparo.

Elisa si rialzò per prima, ansimando. «Lucia!»

Matteo la seguì, zoppicando. «Dov’era? A destra… dietro quel tronco!»

La luce tremolante della torcia disegnò un cerchio instabile sul terreno fangoso. E in quel cerchio comparve una figura accasciata, i capelli scuri incollati alla fronte.

Lucia.

Viva.

Sconvolta, tremante, ma viva.

«Sono qui…» sussurrò appena.

Elisa si inginocchiò accanto a lei, toccandole il viso con delicatezza. «Va tutto bene, sei con noi adesso. Non ti lasceremo.»

Lucia crollò tra le sue braccia, respirando a singhiozzi. «Non volevo… non volevo andare con lui… ma non avevo scelta…»

Ricci si voltò verso il punto da cui proveniva l’esplosione. «Quello non era un caso. Qualcuno ha cercato di separarci. Di isolare lei.»

Matteo annuì. «O di coprire una fuga.»

Ma prima che potessero aggiungere altro, un ramo si spezzò dietro di loro.
Un rumore secco.
Poi un altro.

Avanzavano verso di loro con calma glaciale.

«In piedi,» disse Ricci, afferrando la pistola.

Elisa si mise davanti a Lucia, pronta a proteggerla con il proprio corpo.

Dalle ombre emerse una figura.

L’ispettore Quadri.

Si fermò a tre metri da loro, come se quel bosco fosse casa sua.

«Non volevo ferirvi,» disse, con voce ferma. «Ma Lucia non poteva andarsene.»

Elisa strinse i denti. «Non può? Sei tu che l’hai rapita!»

Lucia, dietro di lei, tremò. «Non lasciatelo avvicinare… per favore…»

Quadri non distolse lo sguardo. «Lucia sa troppo. Molto più di quello che credete. E io ho il dovere di impedire che ciò che ha scoperto distrugga tutto.»

Matteo alzò la torcia, puntandogliela in faccia. «Il dovere? Il tuo è custodire le persone, non rinchiuderle in una canonica e poi trascinarle qui!»

Quadri inspirò lentamente. «Avete scoperto un pezzo. Ma non quello che conta davvero.»

Un rumore nella vegetazione.
Un altro uomo?
Un’ombra?

No.
Non un complice.
Non un’arma puntata contro di loro.

Un diversivo.
Loro lo capirono un istante troppo tardi.

Quadri mosse un piede di lato.
Ricci si mise tra lui e gli altri. «Non provarci nemmeno.»

Ma l’ispettore non fuggì.

Fece qualcosa di peggiore.

«Voi non capirete mai il motivo,» disse piano. «Non stanotte.»

Poi portò lentamente la mano alla cintura.
Per un secondo, parve estrarre una pistola.

Ricci puntò l’arma, pronto a sparare. «Fermo!»

Elisa trattenne il fiato.

Ma Quadri non aveva una pistola.

Sfilò un piccolo telecomando metallico.
Premette un tasto.

Un suono — un click sordo — risuonò nel bosco.

E lo capirono:
Era lui ad aver piazzato l’ordigno per isolarli.
E ce n’era un altro.

«Corretee!» urlò Matteo.

Ricci afferrò Lucia; Elisa lo tirò per il giaccone; Matteo li spinse tutti lontano.

Un lampo arancione.
Un boato.
La terra tremò. Di nuovo.
Un albero si spezzò come un fiammifero e cadde tra loro e Quadri.

Quando il fumo si dissipò, Quadri era scomparso.
Sparito nel caos che lui stesso aveva creato.

Elisa tossì, cercando di riprendere fiato. «Sta usando il bosco come un labirinto… lo conosce. Lo conosce benissimo.»

Ricci serrò la mascella. «E adesso sa che abbiamo Lucia.»

Matteo guardò verso il punto in cui l’ispettore era svanito. «Non tornerà in caserma. Non tornerà da nessuna parte ufficiale.»

«No,» disse Ricci. «Perché non è più un poliziotto. Non lo è da molto.»

Lucia sollevò il viso, con un filo di voce. «Non è lui… il capo. Lui… esegue soltanto.»

Elisa la strinse. «Chi è il capo, Lucia? Diccelo.»

Lucia aprì la bocca per parlare.
Poi qualcosa si spense nei suoi occhi.
Si irrigidì.
Come se il terrore da solo potesse uccidere.

«Non posso…» sussurra.

Matteo chiuse gli occhi un istante. «Il Castellano.»

Ricci annuì. «È sempre stato lui. Quadri… è solo il primo a crollare.»

Elisa guardò la donna tra le sue braccia. «Prima la portiamo via. Poi andiamo a prenderlo.»

Matteo la aiutò a sollevare Lucia. «Andiamo. Il bosco non è più sicuro.»

Mentre avanzavano verso la strada, un pensiero si impose in tutti e tre, come un presagio.

Se Quadri aveva fatto tutto quel casino solo per ritardare il loro intervento…

…allora il Castellano stava già preparando la sua ultima mossa.

La discesa dal bosco fu un misto di fango, urgenza e silenzi trattenuti.
Ricci apriva la strada, con la pistola ancora in mano; Elisa aiutava Lucia a camminare; Matteo chiudeva la fila, controllando ogni ombra per paura che Quadri potesse riemergere.

Quando raggiunsero l’auto di servizio, Ricci si voltò di scatto. «Dentro. Subito.»

Lucia entrò per prima, tremante. Elisa le si sedette accanto, cercando di farle respirare con calma. Matteo e Ricci si sistemarono davanti, senza dire una parola.

La strada sterrata tremava sotto le ruote.

Solo quando imboccarono l’asfalto, Ricci parlò:
«La portiamo alla struttura protetta vicino Monteriva. È l’unico posto dove posso garantire che nessuno la troverà.»

Matteo annuì. «Quadri non mollerà.»

«Lo so», rispose Ricci. «Proprio per questo dobbiamo muoverci adesso.»

La pioggia aveva ripreso a cadere fine e verticale quando l’auto civetta imboccò l’ingresso laterale dell’edificio dell’Arma, una palazzina anonima usata come struttura protetta per testimoni vulnerabili. Nessuna insegna, solo una sbarra e un militare che, vedendoli arrivare con i lampeggianti spenti, alzò immediatamente il braccio per farli passare.

Lucia era riversa sul sedile posteriore, avvolta nella coperta termica. Respirava, finalmente, in modo più regolare. Ogni tanto i suoi occhi si aprivano appena, come se cercassero un appiglio nel mondo esterno, ma si richiudevano subito, troppo stanca, troppo provata.

Ricci scese per primo, dando ordini brevi e secchi al personale che accorse. «Camera uno, medico subito. Nessuno entra senza la mia autorizzazione.»

Elisa seguì i sanitari che portarono Lucia dentro su una barella, osservandola con un misto di sollievo e rabbia. Matteo camminava accanto a lei, la torcia ancora sporca di fango stretta in mano come un residuo dell’incubo appena vissuto.

Solo quando la porta blindata della sala medica si chiuse alle loro spalle, Ricci parlò.

«Adesso ascoltatemi bene.» La sua voce era tesa, ma lucidissima. «Quello che è successo questa sera cambia tutto. Quadri non ha agito per conto suo. Era lì per guadagnare tempo, per cercare di portarci lontano da Lucia.»

Elisa aggrottò la fronte. «E il Castellano?»

«Sparito.» Ricci si passò una mano sul volto, come se volesse cancellare la stanchezza. «Ma non importa. Perché adesso abbiamo qualcosa che non avevamo prima.»

«Lucia», mormorò Matteo.

«Sì. Se sopravvive alla notte, potrà confermare ciò che sospettiamo da mesi.» Ricci si avvicinò al tavolo operativa, accese la lampada e posò una cartellina spessa alcuni centimetri. «Marini non può più muoversi nell’ombra come ha fatto finora. Gli abbiamo tolto il vantaggio.»

Elisa incrociò le braccia. «Qual è il piano, procuratore?»

Ricci aprì la cartellina. All’interno c’erano documenti, foto, nomi. Una mappa della provincia con cerchi rossi. La scritta “Rete logistica — sicurezza privata” spiccava in alto.

«Francesco Maltoni,» disse Ricci indicando la pagina. «La sua società di sicurezza era la copertura perfetta. Accessi riservati, trasporti non registrati, personale fedele… tutto ciò che serviva all’organizzazione per muoversi senza essere vista. E il suo ruolo era molto più attivo di quel che pensavamo.»

Matteo sbiancò leggermente. «Quindi… anche Lucia potrebbe aver visto qualcosa mentre era ancora con lui.»

«È per questo che volevano eliminarla dopo la scomparsa di Maltoni.» Elisa fece un passo avanti. «Ma la domanda è: perché Marini ha accelerato proprio adesso?»

Ricci la guardò negli occhi. «Perché sa che stiamo arrivando a lui.»

Si sedette sulla sedia girevole, afferrò il telefono interno e compose un numero.

«Tenente, attiviamo la squadra. Ordine di cattura immediato per Marini e per ogni uomo della rete operativa a Monteriva. Ci serve una perquisizione congiunta anche alla società di sicurezza. E mettete un sorvegliante armato davanti alla stanza uno. Nessuno entra senza il mio permesso.»

Riagganciò. Solo dopo un lungo respiro aggiunse:

«Da questo momento non siamo più in un’indagine. Siamo in una guerra che dobbiamo chiudere prima dell’alba.»

Elisa e Matteo si scambiarono uno sguardo. Niente era finito, ma per la prima volta da settimane sentirono che qualcosa stava cambiando davvero.

Tutto ruotava attorno a ciò che Lucia avrebbe detto appena fosse stata in grado di parlare.

La porta della sala medica si aprì leggermente. Un medico sporse la testa. «Procuratore, credo che vogliate vedere questo.»

Ricci arrivò per primo. Lucia era sveglia. Debole, pallida, ma presente. I suoi occhi si posarono su Elisa, poi su Matteo. Tremò. Tentò di parlare. Non ci riuscì. Il medico le porse un foglio e una penna.

Lucia scrisse tre lettere, con mano tremante.

M A R

Elisa trattenne il fiato. «Marini? Vuoi dire Marini?»

Lucia fece un cenno lentissimo, appena percettibile.

Matteo si voltò verso Ricci. «Abbiamo la conferma.»

Ricci annuì. «E allora è il momento di chiuderla.»

Il procuratore uscì dalla stanza, già al telefono, dando istruzioni rapide e definitive.

La notte su Monteriva era immobile, quasi senza respiro. Nella struttura protetta il silenzio era spezzato solo dai passi veloci del personale e dal ronzio sommesso delle linee telefoniche che continuavano a squillare.

Ricci aveva stabilito il quartier generale in una sala riunioni spoglia, trasformata in un centro operativo improvvisato: mappe, fotografie, schemi, frecce tracciate con pennarelli diversi. Al centro, un’unica figura assorbiva tutta l’attenzione.

Marini.

La sua ombra, finora sempre ai margini dell’indagine, adesso si stagliava netta. Nessun alias, nessuna intermediazione. Solo il suo nome, scritto in grande al centro della lavagna.

Elisa entrò nella sala, un fascicolo spesso stretto contro il petto. Matteo la seguiva con passo rapido.

«Procuratore, dobbiamo parlarle», disse Elisa senza attendere inviti.

Ricci alzò lo sguardo, staccandosi dalla lavagna. «Che avete trovato?»

Elisa aprì il fascicolo, mostrando un foglio fotocopiato. «Mentre aspettavamo notizie da Lucia, ho fatto controllare i vecchi registri de La Selva. Ci sono due nomi che compaiono più volte, ma sempre in sezioni “riservate”: Anna Riva e Sofia Leone.»

Matteo aggiunse: «I loro dossier non erano nella cartella medica ufficiale. Li hanno segregati in un archivio secondario, lo stesso dove avevamo trovato i primi indizi su Lucia.»

Ricci si irrigidì. «Quindi non erano semplici pazienti.»

«No,» rispose Elisa. «Erano ospiti controllati

Ricci scorrere le pagine, il volto sempre più cupo. «E i dettagli sulla loro fine?»

Elisa sospirò. «Sono sparite entrambe, certo, ma c’è dell’altro.»

Indicò una sigla. «In un appunto interno compare la dicitura C210. La stessa che Lucia ha scritto, in modo confuso, anni fa in una lettera mai spedita. Matteo se la ricordava.»

Matteo annuì, scontrandosi con il ricordo. «Era convinto che C210 fosse un codice di trasferimento.»

Ricci sfogliò ancora. «E invece?»

«Potrebbe essere una destinazione,» disse Elisa piano, «una struttura non registrata, forse privata come La Selva, ma ancora più isolata. Il punto è che nei documenti compare sempre lo stesso nome in associazione al codice C210.»

Appoggiò il dito sul foglio.

Marini.

Ricci inspirò lentamente. «Quindi Anna e Sofia…»

«Sono state trasferite da lui. O su suo ordine.»
Elisa si morse il labbro. «E da quel momento, nessuna traccia. È probabile che fossero detenute lì. E che non abbiano mai lasciato vive il C210.»

Matteo aggiunse con voce bassa: «Lucia, Anna e Sofia hanno tutte scoperto qualcosa sulla rete di sicurezza privata di Maltoni. Una delle guardie aveva parlato di un “deposito” fuori città…»

Ricci si fermò. Aveva capito.

«State dicendo che il C210 potrebbe essere un sito fisico. Un luogo dove venivano portati i dissidenti, i testimoni scomodi. E Marini lo controllava personalmente.»

Elisa annuì.

Il procuratore si voltò verso la lavagna, cancellò con un gesto netto parte dello schema e disegnò un cerchio nuovo.

C210 — possibile prigione clandestina.

«Dobbiamo trovarlo prima di Marini,» disse Ricci. «Se capisce che Lucia è sopravvissuta, tenterà di chiudere tutto. E potrebbe distruggere le prove… o chiunque sia rimasto là dentro.»

Elisa impallidì. «Aspetti, procuratore… sta dicendo che nel C210 potrebbero esserci ancora delle persone?»

«In casi del genere non si può escludere nulla.»

Un silenzio pesante cadde nella stanza.

Poi Matteo, con un filo di voce: «E se Anna… e Sofia… fossero state portate lì?»

Elisa gli posò una mano sul braccio. «È possibile. Dobbiamo verificare.»

Ricci chiuse la cartellina con un colpo secco. «Allora basta parlare. Attiviamo la task force congiunta. Matteo, Elisa: voi venite con me. Non possiamo rischiare fughe di notizie. La squadra entra in assetto operativo tra trenta minuti.»

Matteo serrò la mascella. «Dove andiamo?»

Ricci indicò un punto sulla mappa, in una zona collinare a nord, circondata da boschi e vecchie strade forestali abbandonate.

«Qui. Una proprietà ipotecata più volte, mai realmente abitata, ma intestata a una società satellite della rete di Maltoni. Niente telecamere, niente registri. Un luogo perfetto per sparire qualcuno.»

«C210,» mormorò Elisa.

Ricci annuì. «Ci giochiamo tutto stanotte.»

La strada che portava verso nord si snodava tra boschi fitti e tratti di collina completamente privi di luce artificiale. Le auto della task force avanzavano in silenzio, fari schermati, motori al minimo. Nessuno parlava.

Ricci guidava la vettura di testa. Elisa sedeva accanto a lui, lo sguardo fisso sulla mappa illuminata dallo schermo, mentre Matteo, dietro, controllava per la decima volta il GPS criptato. Ogni tanto alzava lo sguardo per osservare gli alberi che scivolavano oltre il finestrino: sembrava che l’intero bosco li stesse guardando.

«Mancano due chilometri,» disse Elisa a bassa voce.

Ricci rallentò. «Da qui proseguiamo a piedi. Le auto restano nascoste nella radura.»

Il convoglio si fermò. Gli uomini scesero in assoluto silenzio; erano addestrati, scelti apposta da Ricci per questa missione. Nessun nome sospetto, nessun contatto ambiguo. Quadri era stato già preso in consegna lontano da lì: niente rischi.

Elisa si sistemò il giubbotto tattico, mentre Matteo caricava una torcia a luce rossa. Ricci osservò entrambi.

«Il C210 potrebbe essere qualsiasi cosa,» disse. «Un deposito, un casolare, un bunker sotterraneo. Non escluso che ci siano persone dentro. E non possiamo sapere in che condizioni.»

«E Lucia?» chiese Matteo.

«È al sicuro,» rispose Ricci. «Ma se Marini capisce che l’abbiamo trovata, tenterà di ripulire questo posto prima dell’alba.»

Elisa annuì. «Andiamo.»

Il cammino fu lento, sulla terra umida che assorbiva ogni passo. Tra gli alberi, il buio diventava più spesso, odoroso di muschio e foglie morte. Poi, all’improvviso, tra due grossi tronchi comparve una sagoma.

Una recinzione.

Alta, arrugginita, coperta di rami spezzati per mimetizzarla. Elisa sfiorò il metallo con le dita. «Questa cosa è qui da anni.»

Matteo puntò la luce rossa lungo la rete. «Cercavano di nascondere l’ingresso, ma è chiaramente una struttura operativa. Guarda: sensori di movimento disattivati da poco.»

Ricci seguì i cavi. «Qualcuno se n’è andato di fretta.»

Un agente si avvicinò. «Procuratore, abbiamo trovato un varco. Sembra recente.»

Il gruppo lo seguì.

Lì, tra due pannelli di rete tagliati con precisione chirurgica, il bosco lasciava intravedere un sentiero battuto. Ricci fece cenno di avanzare.

Il sentiero portava a un edificio basso e scuro, quasi completamente inghiottito dalla vegetazione. Non c’erano finestre. Solo una porta metallica, rinforzata e senza maniglia. A lato, un tastierino di sicurezza era stato strappato via, i fili pendenti.

«Non è un magazzino,» mormorò Matteo. «È una struttura di contenimento.»

Elisa si inginocchiò vicino al tastierino. «È stato disattivato manualmente. Qualcuno aveva i codici.»

Ricci si irrigidì. «Marini, o uno dei suoi. Ma se l’hanno aperta… potrebbe esserci ancora qualcuno dentro.»

Gli agenti si disposero su due file. Un tecnico applicò una carica silenziosa alla serratura. Un cenno. Un’esplosione soffocata. La porta cedette.

L’interno era un corridoio stretto, ma non quello monotono che Elisa temeva. Le pareti erano rivestite di metallo insonorizzante, dipinto di grigio scuro. A terra, guide per carrelli medici. L’aria aveva odore di disinfettante vecchio e di qualcosa di più dolce… simile ai dormitori ospedalieri.

Una luce lampeggiante sul soffitto indicava che il sistema di emergenza era attivo.

Ricci sollevò la voce: «Squadra uno con me. Due con Rinaldi ed Elisa. Controllate ogni stanza. Niente improvvisate.»

Si divisero.

Matteo aprì la prima porta. Una cella. Piccola, spoglia. Un letto inchiodato al pavimento. Coperte piegate, ancora calde. Elisa lo guardò, pallida.

«Qualcuno era qui… da pochissimo.»

La seconda stanza era uguale. La terza aveva sedie rovesciate, un cuscino strappato, segni di trascinamento sul pavimento.

«Elisa…» Matteo la chiamò con la voce strozzata.

Sul muro, graffi. Non casuali. Grafie ripetute, incise dalle unghie.

A. R.

Sotto, più in basso, quasi cancellato:

S. L.

Elisa si portò una mano alle labbra. «Anna Riva… e Sofia Leone… erano qui.»

Matteo si avvicinò, le dita che tremavano. «E se fossero state…»

«Non pensarci adesso,» lo interruppe lei. «Andiamo avanti.»

Dalla parte opposta del corridoio, Ricci chiamò: «Venite qui!»

Corsero.

La stanza in cui si trovava era più grande, una sorta di ufficio. C’erano fascicoli aperti, fogli strappati, una sedia capovolta. Sul tavolo, un computer portatile chiuso di fretta. Ricci alzò un documento.

«Guardate questo.»

Era un elenco di date e codici. E accanto, tre nomi.

A. Riva — trasferita
S. Leone — trasferita
L. Maltoni — trasferita

«Trasferita dove?» chiese Matteo, quasi con rabbia.

Ricci indicò l’ultima riga di una nota scritta a penna.

C210 → P.N.

Elisa sbiancò. «P.N.… è il codice della Poggio Nuovo. Un complesso agricolo abbandonato sopra Monteriva. È enorme. Pieno di capannoni e gallerie per lo stoccaggio. »

Matteo riprese il foglio, fissandolo come un verdetto. «Marini è sempre un passo avanti…»

Ricci lo guardò fisso negli occhi. «Non stavolta.»

Si voltò verso la squadra.

«Raccogliete tutto. Fra venti minuti ripartiamo. Poggio Nuovo potrebbe essere la destinazione finale… o il loro cimitero.»