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Il voto che non tornò

Quinta parte

La figura avanzò lentamente, avvolta nell’ombra.
Il rumore dei passi rimbombava sul pavimento polveroso della vecchia scuola. Quando finalmente la luce tremolante delle torce la raggiunse, il commissario Rossi vide il volto segnato di un’anziana donna.

— Io sono l’ultima custode del segreto di Montefreddo — disse, con una voce profonda, quasi un sussurro che sembrava venire da lontano.

Le fiamme delle torce danzavano, proiettando ombre distorte sulle pareti scrostate.
La donna fece un passo avanti: alta e magra come un ramo secco, il viso solcato da rughe che raccontavano secoli di vita. I suoi occhi, di un grigio tagliente, lo fissarono con una lucidità inquietante. I capelli, bianchi come la neve, erano raccolti in uno chignon perfetto. I vestiti neri, pesanti, sembravano appartenere a un’altra epoca.

Era Nora, la “Vecchia Nora”.
Tutti in paese la conoscevano, o credevano di conoscerla. Nessuno ricordava quando fosse arrivata a Montefreddo, e da quanto tempo vivesse nella sua casa di pietra ai margini del bosco.
C’era chi diceva che fosse una strega.
C’era chi giurava che custodisse qualcosa — un segreto troppo pericoloso per essere rivelato.

— Questo luogo nasconde verità che non dovrebbero mai essere rivelate — mormorò Nora.

Rossi la fissò, perplesso. — Cosa intende dire?

— La setta è stata tradita — sussurrò. — Il dio si sta risvegliando. E se non agiamo in fretta, nessuno sarà al sicuro.

Gli agenti si scambiarono occhiate nervose.
— È impazzita… — mormorò uno.

Rossi sospirò. — Signora, queste sono solo fantasie. Montefreddo ha già i suoi problemi, non ha bisogno di nuove leggende.

Gli occhi grigi di Nora si strinsero, come se lo stessero trapassando.
Per un istante, Rossi sentì un brivido corrergli lungo la schiena, ma lo scacciò. Non poteva lasciarsi condizionare da una vecchia delirante.

— Comunque sia, — disse con tono deciso, — la porteremo in centrale. Se c’è qualcosa di vero in quello che dice, lo scopriremo lì.

Nora annuì lentamente. — Come vuole, commissario. Ma ormai è troppo tardi.

Fuori dalla scuola abbandonata, i lampeggianti delle auto della polizia tagliavano il buio della notte.
Una piccola folla di curiosi si era radunata dietro il nastro giallo.

— La portano via… finalmente! — sussurrò qualcuno. — Quella vecchia ha sempre portato sfortuna.

I giornalisti si fecero avanti, i microfoni tesi verso Rossi.
— Commissario! È vero che la donna è coinvolta nelle sparizioni?
— Cosa ha trovato qui dentro?

— Fatevi da parte! — ringhiò Rossi, mentre apriva la portiera dell’auto.
Nora salì senza opporre resistenza, con una calma quasi solenne.

— Non sarà la polizia a salvarvi, commissario, — bisbigliò prima che lui chiudesse lo sportello. — Non avete idea di cosa state affrontando.

Rossi restò immobile per un attimo, le dita ancora sulla maniglia. Poi salì al posto di guida e mise in moto.
Nello specchietto retrovisore, vide Nora seduta dritta, immobile, lo sguardo perso nel vuoto.
Sembrava… in attesa.

Alla centrale, l’aria era pesante, satura di tensione.
Rossi la fece accomodare nella sala interrogatori, una stanza spoglia, illuminata da una luce al neon che ronzava fastidiosamente.

— Raccontatemi tutto dall’inizio, Nora. Chi è questo “dio” di cui parlate?

La donna lo fissò a lungo, come se stesse valutando se fosse pronto per la verità. Poi parlò piano, con voce ferma:

— Non vi sto raccontando storie, commissario. Montefreddo è stato scelto molto tempo fa. Gli dei che veneravamo non erano quelli delle vostre chiese, ma forze più antiche. Erano qui prima di noi… e rimarranno dopo di noi.

Il tono di Nora era ipnotico, e Rossi non riusciva a distogliere lo sguardo.

— Quando ero giovane, — continuò, — sono stata iniziata a una confraternita segreta. Veneravamo divinità dimenticate: Nyx, la dea della notte. Thanatos, signore della morte. Ma c’era qualcuno di più antico… più oscuro. Il suo nome non si pronunciava mai, se non nei rituali.

Fece una pausa.
— Il nostro compito era mantenere l’equilibrio tra i vivi e i morti. Montefreddo fu scelto per custodire il confine. C’è una fenditura, nel terreno, che porta all’altro mondo. Noi vegliavamo su di essa. Ma qualcuno ha infranto il patto.

Un silenzio teso cadde nella stanza.
Rossi incrociò le braccia, combattuto tra scetticismo e un’inquietudine crescente.

— Lei crede davvero a tutto questo? — chiese infine.

Nora sollevò lo sguardo, e per un attimo, nei suoi occhi grigi, Rossi vide qualcosa che non seppe spiegare.
Non paura. Non follia.
Solo… consapevolezza.

— Non importa cosa credo io, commissario, — disse piano. — Importa solo che il sigillo si sta spezzando.

Rossi rimase solo, dopo che gli agenti portarono via Nora.
Si passò una mano sul viso, stanco.
Nella stanza aleggiava ancora la sua voce.
E quel brivido che lo tormentava da ore tornò, più forte.

Fu solo allora che si accorse di una cosa:
sul tavolo, accanto alla tazza di caffè, c’era un simbolo tracciato con la cenere di una delle torce.
Un segno circolare, inciso con precisione.

E non ricordava che ci fosse prima.