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Il voto che non tornò
Terza parte
Le ombre sembravano muoversi da sole, lente, nervose, come se osservassero.
L’aria era pesante, satura di umidità e di un odore di muffa che si attaccava ai vestiti.
Il sindaco, un uomo sulla cinquantina con i capelli grigi radi e le occhiaie profonde, entrò per primo. Il pavimento di legno scricchiolò sotto i suoi passi, amplificando il battito accelerato del suo cuore.
“È tutto così… strano,” mormorò, con la voce incrinata.
Davanti a lui c’erano solo un tavolo di legno graffiato, tre cabine elettorali dalle tende rosse e qualche sedia rovesciata, come se qualcuno avesse lasciato la stanza di fretta. Nessuna traccia di Giacomo, nessun segno di Marta.
“Giacomo? Marta?”
La sua voce si perse subito, inghiottita dal silenzio.
Dall’ingresso, la voce tremante di Andrea, il giovane padre, ruppe la quiete.
“Signor Sindaco… ha trovato qualcosa?”
Il sindaco si voltò verso di lui.
“Niente. È come se fossero… evaporati.”
Caterina, pallida, si strinse la sciarpa al collo.
“Non può essere! Dev’esserci una spiegazione!”
“Lo so,” rispose il sindaco, cercando di sembrare calmo. “Ma qui dentro non c’è nulla. Solo vecchie sedie e… silenzio.”
Lucia, la volontaria, fece un passo avanti, le mani strette davanti al petto.
“Non possiamo restare fermi. Dobbiamo fare qualcosa prima che sparisca qualcun altro.”
“Ha ragione,” aggiunse Marco, con la voce tesa. “Bisogna agire subito.”
Il sindaco annuì, il viso teso ma deciso.
“Andiamo. Tutti fuori.”
Uscirono uno alla volta, come superstiti di un naufragio.
Fuori, la nebbia sembrava ancora più densa. La gente del paese si era radunata in cerchio davanti alla scuola, con gli occhi pieni di paura.
“Che succede?” chiese Giovanni, l’uomo dalla barba grigia. “Li avete trovati?”
“No,” rispose il sindaco, scuotendo la testa. “Dentro non c’è nessuno. È come se non fossero mai entrati.”
Un mormorio attraversò la folla.
“Dev’esserci un passaggio segreto!” gridò qualcuno.
“O qualcosa di maledetto…” sussurrò Anna, con il fazzoletto stretto tra le dita.
Il sindaco si passò una mano sul viso, esausto.
“Va bene,” disse infine. “Torneremo dentro. Ma stavolta controlleremo ogni centimetro.”
Marco si fece avanti.
“Verrò con lei.”
Rientrarono insieme nella scuola.
Ogni passo sembrava più pesante del precedente. L’oscurità li avvolse di nuovo, densa come una coperta.
“Guardi qui,” sussurrò Marco. “La sedia… qualcuno l’ha spostata di recente. Ci sono i segni sul pavimento.”
Il sindaco si chinò, osservando i graffi nel legno.
“Hai ragione. Ma perché?”
Controllarono ogni cosa: il tavolo, le pareti, le cabine.
Nulla. Solo il silenzio e quel leggero odore di umido che sembrava più forte di prima.
Sconfortati, uscirono di nuovo all’aperto.
“Allora?” chiese Giovanni, avvicinandosi.
“Avete trovato qualcosa?”
“No,” rispose il sindaco. “Niente di niente.”
La folla cominciò a mormorare, agitata.
“Non è possibile,” disse Maria, la vicina di casa di Giacomo. “Dev’esserci qualcosa che ci sfugge.”
“Abbiamo cercato ovunque,” replicò Marco, “ma non c’è nulla di anormale. Eppure due persone sono sparite.”
Caterina fece un passo avanti, gli occhi lucidi.
“Marta non sarebbe mai andata via così. Mai.”
Il sindaco le mise una mano sulla spalla.
“Lo so. Ma dobbiamo restare lucidi.”
Un grido improvviso squarciò l’aria.
Anna, tremando, gridò:
“Siamo maledetti!”
Il sindaco alzò la mano per calmare la folla.
“Basta. Non facciamoci prendere dal panico. Domani torneremo tutti insieme. Controlleremo ogni angolo di questa scuola. Qualcosa ci deve pur essere.”
Lucia annuì con decisione.
“Non ci arrenderemo.”
Un vento freddo attraversò la piazza, facendo tremolare i lampioni.
La porta della scuola, alle loro spalle, si richiuse lentamente con un cigolio.
E per un istante, qualcuno giurò di aver visto una sagoma dietro le tende rosse.