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Il voto che non tornò 

Seconda parte

Fuori dal seggio di Montefreddo, la fila di persone aspettava pazientemente il proprio turno.
All’inizio, nessuno si preoccupò troppo per Giacomo. Tutti pensavano che si fosse semplicemente attardato a chiacchierare con i volontari.
Dopotutto, il vecchio era famoso per le sue storie infinite e la memoria che correva indietro di decenni.

«Ma dove si è cacciato, Giacomo?» brontolò Giovanni, un uomo robusto con una folta barba grigia, guardando l’orologio.
«Avrà trovato qualcuno con cui parlare,» sospirò Anna, sistemando il suo fazzoletto in testa. «Sai com’è fatto… se comincia a raccontare, non finisce più!»

Le persone risero piano. Ma dopo un’ora, nessuno rideva più.
La nebbia si era fatta ancora più fitta, e una strana tensione serpeggiava nell’aria.

«È strano,» disse Andrea, un giovane padre che teneva per mano il suo bambino. «Non è da lui sparire così.»
Anna annuì. «L’abbiamo visto entrare, ma non uscire. È come se…»
Non finì la frase.

Fu allora che arrivò Marta.
Aveva trent’anni, capelli neri lucidi come l’ebano e occhi verdi che sembravano leggere nei pensieri. Tutti a Montefreddo la conoscevano: insegnava ai bambini del paese vicino e si prendeva sempre cura di tutti. Ma quella mattina, anche il suo sorriso sembrava un po’ tirato.

«Ciao, Marta!» la salutò Caterina, la sua amica d’infanzia.
«Ciao, Caterina. Spero di non metterci tanto,» rispose lei, cercando di sembrare tranquilla.

Marta entrò nella scuola.
L’interno era ancora più buio del solito, illuminato solo da una lampadina che tremolava. La luce gettava ombre lunghe sulle pareti scrostate.

«Buongiorno, Marta,» disse Lucia dal tavolo del seggio. «Mi fa vedere il documento, per favore?»
«Certo,» rispose Marta, porgendoglielo. Poi aggiunse a bassa voce: «Avete notizie di Giacomo? Tutti fuori sono preoccupati.»

Lucia lanciò un’occhiata a Marco, il collega, prima di rispondere. «No. È… sparito. Non sappiamo come.»

Marta deglutì. «Sparito? Come può sparire qualcuno da una cabina elettorale?»
Nessuno rispose. Il silenzio era così fitto che si sentiva solo il ronzio della lampadina.

Marta fece un respiro profondo e si avvicinò alla cabina.
Esitò per un attimo, poi tirò la tenda rossa e sparì all’interno.

Passarono dieci minuti.
Poi venti.
Lucia e Marco si scambiarono occhiate sempre più preoccupate.

«Marta? Tutto bene lì dentro?» chiamò Lucia.
Silenzio.
Marco si avvicinò, tirò piano la tenda… e restò immobile.
«Lucia… non c’è nessuno.»

«Come sarebbe a dire che non c’è nessuno?» Lucia corse a guardare, ma era vero. La cabina era vuota. Nessuna traccia di Marta.

Fuori, la voce si diffuse in un attimo:
«È sparita anche Marta!» gridò Anna, con il viso pallido come la nebbia.
Gli abitanti cominciarono a radunarsi, spaventati.

«Due persone non possono sparire così!» urlò Giovanni.
«Siamo maledetti!» gemette Anna, stringendo il fazzoletto con mani tremanti.

Poco dopo arrivò il sindaco, visibilmente agitato.
«Calma, tutti! Non facciamo congetture. Qualcuno deve scoprire cosa succede là dentro!»

«E chi ci va?» chiese Andrea, indietreggiando di un passo. «Non possiamo rischiare che sparisca un altro!»

Il sindaco li guardò, poi fece un lungo respiro.
«Andrò io,» disse deciso. «Qualcuno deve farlo.»

Tutti lo seguirono con lo sguardo mentre si avvicinava alla scuola.
La porta si aprì con il solito cigolio lugubre.
Il buio all’interno sembrava ancora più fitto, quasi vivo.
Nessuno si mosse.
Nessuno osò parlare.
La nebbia avvolgeva il paese come un manto, e l’unico suono era quello del vento tra gli alberi spogli.

Poi la porta si richiuse.
E il silenzio divenne ancora più profondo.